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1796 03 27 Una Marcia trionfale

1° Campagna d'Italia > 1796 Liguria e Piemonte


L'ascesa di Napoleone ebbe inizio in Italia, patria dei suoi antenati. Lì, tra il 1796 e il 1797, egli mostrò per la prima volta le sue doti di stratega, trasformando un'armata allo sbando in un esercito formidabile con cui sconfisse ripetutamente Austriaci e Piemontesi. Il 9 marzo 1796 Napoleone sposò Giuseppina Tascher de La Pagerie, vedova Beauharnais, già moglie di un ufficiale ghigliottinato dopo la rivoluzione. Dopo soli due giorni partì per Nizza per assumere il comando dei 38.000 uomini mal equipaggiati dell'Armata d'Italia.

"Io mi sento italiano o toscano piuttosto che corso". Così Napoleone, durante l'esilio di Sant'Elena confessava il proprio legame di sangue con la patria dei suoi antenati. E tuttaviam nel concreto svolgersi della sua attività politica, egli non si mostrò mai influenzato da questo senso di appartenenza, se non forse agli inizi della sua carriera quando, da giovane ufficiale, fece della "questione italiana" il cuore delle sue riflessioni politiche e militari. Non a caso, sin dal 1794, anno che passò confinato al Bureau Topographique, l'ufficio topografico dell'esercito francese, egli inondò i tavoli dei suoi superiori di missive con cui rimarcava come, a suo avviso, l'Italia settentrionale costituisse il punto focale della guerra che la Francia stava allora combattendo contro l'Austria, e suggeriva svariati piani per invaderla.


Tali proposte, snobbate dagli alti comandi francesi - che preferivano concentrare gli sforzi sul fronte tedesco del Reno - caddero nel vuoto.

Ma almeno un effetto  lo produssero: spinsero alle dimissioni il comandante dell'Armata d'Italia Barthélemy Louis Joseph Scherer, esasperato dalle intromissioni di quel giovane che sembrava mettere sotto accusa il suo comportamento nella Penisola.
Una decisione, quella del generale, che involontariamente spianò la strada proprio a Napoleone, chiamato a sostituire Scherer in virtù dell'amicizia con Paul Barras, mente politica del Direttorio, il governo collegiale della Francia rivoluzionaria.

Una missione difensiva
Al momento di assumere l'incarico, Napoleone ricevette tuttavia ordini ben precisi: all'Armata d'Italia, nella guerra in corso, era affidata una missione prettamente difensiva, ossia impegnare quante più forze nemiche possibile per sottrarle dal fronte principale della guerra, che restava quello tedesco.


Se le operazioni fossero andate particolarmente bene, il generale avrebbe potuto avanzare nella Pianura Padana e spingersi fino alle rive dell'Adige, in Veneto; ma lì avrebbe dovuto in ogni caso arrestarsi, nell'attesa che da nord calassero le truppe del generale Jean Victor Marie Moreau, comandante dell'Armata del Reno.
Napoleone, naturalmente, non era d'accordo.
Ora più che mai, egli era convinto che, se l'Austria poteva essere battuta, ciò sarebbe avvenuto in Italia.

E non solo perché lì le forze asburgiche erano troppo disperse sul territorio e macchinose nei movimenti per contrastare al rapidità di spostamento dell'armata francese, ma anche perché una buona parte delle truppe che presidiavano l'area appartenevano al Regno di Sardegna, e notoriamente tra i comandi asburgici e quelli piemontesi non correva buon sangue.
Dall'Italia dunque, secondo Bonaparte, venivano per la Francia le migliori opportunità di vittoria sull'Austria e in Italia esistevano i presupposti più favorevoli per sfondare le difese nemiche e marciare su Vienna.

L'Armata dei cenciosi
Perché ciò potesse accadere, occorreva tuttavia un esercito compatto, motivato ed efficiente, cosa che di certol'Armata d'Italia non poteva dirsi. Ribattezzata spregiativamente "Armata dei cenciosi", essa vantava ufficialmente 63.000 uomini, dei quali tuttavia più della metà erano inutilizzabili, vuoi per problemi di salute, vuoi per scarso addestramento.
Ma anche tra le forze disponibili, ben poche erano quelle su cui Napoleone poteva realmente contare: malpagte, denutrite, male equipaggiate, le truppe francesi d'Italia erano infatti il peggio dell'esercito rivoluzionario, un'accozzaglia di disperati ricordata più per gli stracci che indossava e i continui ammutinamenti che per le sue imprese belliche.

Oltretutto i quattro comandanti delle divisioni da cui era composta - Pierre Angereau, André Masséna, Jean Mathieu Sérurier e Amédée Laharpe - erano in perenne disaccordo tra loro, e già avevano manifestato il loro malanimo nei confronti di Bonaparte, ritenuto un raccomandato privo di esperienza sul campo e abile soprattutto negli intrallazzi politici.
Il primo compito di Napoleone, una volta ottenuto il comando dell'Armata d'Italia, fu dunque quello di imporre l'obbedienza ai suoi generali.
A tale scopo li convocò immediatamente nel suo quartier generale di Nizza e, ben sapendo quanto fosse importante quel primo approccio, si mostrò autoritario nei modi e il più possibile spiccio nei comandi: "Quando si mise in capo il cappello da generale", avrebbe scritto in seguito il generale André Masséna, "parve eesere cresciuto di colpo di un mezzo metro".

Si dedicò quindi al riordino delle truppe, di cui migliorò le condizioni materiali attraverso un programma di requisizioni sul territorio che, in due settimane, consentì di corrispondere ai soldati le paghe arretrate e di regolarizzare le forniture del rancio. Venne quaindi migliorato l'armamento, rastrellando qua e là fucili d'ogni tipo, e il commissario politico dell'armata, Antoine Christophe Saliceti, fece persino il miracolo di procurarsi 80 cannoni da campo e 24 obici da montagna, creando un piccolo reparto di artiglieria. A quel punto l'Armata d'Italia non era ancora l'esercito soganto da Napoleone, ma aveva almeno smesso di somigliare a una banda di ribelli e pareva disposta a concedere al nuovo comandante una prudente fiducia.


Mentre Saliceti provvedeva alle questioni materiali, il generale corso trascorreva le giornate piegato sulle mappe di guerra ("passava per un matematico o per un visionario" avrebbe scritto ancora Masséna), nel tentativo di perfezionare il proprio piano di guerra.

La sua idea era di invadere il Piemonte da sud, muovendo dalla costa ligure dove, tra Nizza e Savona, era concentrato il grosso delle forze francesi. Ma in che punto sferrare l'attacco decisivo?
L'Esercito asburgico guidato dall'anziano feldmaresciallo Jean Pierre de Beaulieau, era diviso in tre tronconi: 20.000 uomini si trovavano ad Alessandria ai comandi dello stesso maresciallo, altri 6.000 proteggevano le fortezze lombardo-venete di Mantova, Peschiera del Garda e Verona, mentre 8.000 uomini presidiavano la costa ligure presso Genova. A queste forze si aggiungevano poi i 23.000 uomini disposti "a V" tra l'Apennino ligure e le langhe, lungo i confini meridionali del Piemonte: 11.000 erano austriaci e, sotto la guida del generale Eugen Mercy Argenteau, presidiavano la linea difensiva tra i comuni di Dego e Carcare, nell'entroterra savonese, mentre più a ovest, tra Cosseria (vicino a Carcare) e Ceva, si addensavano 12.000 piemontesi agli ordini del generale Michele Colli.




Il Boureau Topographique

Il periodo che Napoleone trascorse presso il Bureau Topographique, l'ufficio topografico dell'esercito francese, fu tra i peggiori della sua vita. Epurato da tutti i ruoli operativi, guardato con sospetto dai vertici militari per le sue passate simpatie verso il regime di Robespierre (abbattuto dal colpo di Stato del 9 Termidoro), costretto a una vita d'ufficio che detestava, il futuro imperatore si gettò, come avrebbe scritto più tardi, "a sfogliare cartacce solo perché qualsiasi cosa era meglio dell'inattività". Eppure, proprio da quei mesi difficili, egli trasse forse più beneficio che da qualunque altra sua esperienza giovanile.

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