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MARESCIALLI

Pierre François Charles Augereau (1757-1816), duca di Castiglione

Charles Pierre François Augereau, duca di Castiglione (Parigi, 21 ottobre 1757 – La Houssaye-en-Brie, 12 giugno 1816), è stato un generale francese, maresciallo di Francia con Napoleone Bonaparte. Di umili origini e con un turbolento passato nei ranghi dell'esercito, divenne generale durante la Rivoluzione francese. Acceso militante della fazione rivoluzionaria giacobina, rude e violento, si distinse durante la prima campagna d'Italia e divenne uno dei principali luogotenenti del generale Bonaparte. Nonostante la sua opposizione al colpo di Stato del 18 brumaio venne elevato da Bonaparte a maresciallo dell'Impero e duca di Castiglione per i suoi meriti come generale e partecipò a gran parte delle guerre napoleoniche continuando a mostrare risolutezza, energia e capacità militari.

Avido di ricchezze e titoli, ambizioso e spregiudicato, nella fase finale del periodo napoleonico si dimostrò opportunista e abbandonò Napoleone aderendo alla restaurazione borbonica. L'imperatore, pur lodandone l'energia, il valore e il coraggio in azione dimostrati soprattutto nel periodo iniziale della sua carriera, criticò aspramente a Sant'Elena il maresciallo per la sua defezione nel 1814.


Jean-Baptiste Jules Bernadotte (1763-1844), principe di Pontecorvo, re di Svezia

Jean-Baptiste Jules Bernadotte (Pau, 26 gennaio 1763 – Stoccolma, 8 marzo 1844) è stato un generale francese, divenuto poi Maresciallo del Primo Impero francese, Principe di Pontecorvo e quindi Re di Svezia e di Norvegia come Giovanni Carlo XIV di Svezia e Giovanni Carlo III di Norvegia.

Di origini borghesi, coraggioso e di imponente presenza fisica, si dimostrò acceso fautore delle istanze giacobine durante la Rivoluzione francese e prese parte come generale alle guerre rivoluzionarie francesi, dimostrandosi valente comandante sul fronte tedesco e su quello italiano. Entrato ben presto in contrasto, anche per motivi personali, con il generale Napoleone Bonaparte, venne coinvolto in intrighi contro il Primo console, da cui peraltro fu elevato al titolo di maresciallo di Francia nel 1804.

Partecipò a gran parte delle guerre napoleoniche, ma nel 1809 venne destituito da Napoleone, e quindi accettò di divenire principe ereditario di Svezia svolgendo una politica di autonomia dalla Francia. Nel 1812 entrò in campo nella sesta coalizione contro Napoleone e, alla testa delle truppe svedesi, giocò un ruolo importante nella campagna di Germania del 1813 e nella battaglia di Lipsia, combattendo contro i suoi antichi commilitoni. Nel 1818 divenne re di Svezia.

Louis Alexandre Berthier (1753-1815), principe e duca di Neuchâtel, principe di Wagram

Fu iniziato alla carriera militare dal padre, ufficiale del corpo del Genio sotto Luigi XVI, ed entrò nell'esercito a diciassette anni servendo nel medesimo corpo. Nel 1773 si spostò in Nord America e ne ritornò nel 1783 col grado di colonnello; nel 1789 divenne maggior-generale.
Durante la Rivoluzione Berthier ricoprì il ruolo di comandante della Guardia nazionale a Versailles e aiutò in qualche modo la fuga delle sorelle di Luigi XVI.
Nella guerra del 1792 comandò lo Stato Maggiore del generale Luckner, poi del La Fayette. Sospeso dal servizio a seguito del passaggio del La Fayette agli austriaci, fu autorizzato ad arruolarsi come volontario nell'armata dell'Ovest nel maggio 1793 e si distinse nelle Argonne sotto Doumoriez e Kellermann. Servì anche nella guerra vandeana fra il 1793 e nel 1795 fu reintegrato nel suo grado e proclamato capo di Stato Maggiore dell'armata d'Italia, di cui Bonaparte aveva da poco avuto il comando. Le sue capacità di lavoro, accuratezza e velocità di comprensione, combinate con la sua esperienza, lo fecero diventare il perfetto subalterno: fu il migliore assistente di Napoleone per il resto della sua carriera.
Seguì Napoleone durante la campagna d'Italia del 1796, e gli fu assegnata l'armata in seguito al trattato di Campoformio. Il 9 dicembre 1797 occupò Roma, esautorò papa Pio VI ed il 15 febbraio dell'anno dopo proclamò la Repubblica Romana. Nominato nel marzo 1798 capo di stato maggiore dell'armata d'Inghilterra, passò subito dopo all'armata d'Oriente e si ricongiunse con Bonaparte in Egitto. Diede assistenza durante il colpo di Stato del 18 brumaio (10 novembre 1799) e divenne ministro della guerra dall'11 novembre 1799 al 4 aprile 1800. Nella campagna d'Italia del 1800, nel corso della battaglia di Marengo fu messo a capo dell'Armata di riserva, ma agì comunque da capo di Stato Maggiore. Berthier si dimostrò un perfetto organizzatore nell'attraversamento delle Alpi e fu ferito a un braccio durante la battaglia di Marengo.
Quando Napoleone divenne imperatore, Berthier fu nominato primo maresciallo dell'impero. Prese parte alle battaglie di Austerliz, Jena e Friedland e fu poi nominato prima duca di Valengin nel 1806, poi principe di Neuchâtel nel 1807. Prese parte alla guerra in Spagna nel 1808, e in Austria nel 1809, dopodiché divenne principe di Wagram. Servì, sempre come capo di Stato Maggiore, anche in Russia (1812), in Germania (1813) e in Francia (1814), fino alla caduta dell'impero.
Durante l'esilio di Napoleone si ritirò nei propri possedimenti, anche se accompagnò il nuovo re Luigi XVIII nella sua solenne entrata a Parigi. Non si sa bene come reagì Berthier alla notizia della fuga di Napoleone dall'Elba, comunque è certo che si ritirò nel suo castello di Bamberga, in Baviera, dove morì il 1º giugno 1815 cadendo da una finestra del terzo piano.
Le circostanze della sua morte sono sconosciute. La teoria più accettata è quella di una caduta accidentale, anche se c'è chi sospetta che gli si volesse impedire di ricongiungersi con Napoleone. La storiografia moderna peraltro tende ad escludere il suicidio. Va comunque osservato come l'assenza di un capo di stato maggiore quale era Berthier, eccellente organizzatore ed uomo di grande esperienza nei collegamenti, abbia avuto notevole peso a Waterloo.

Jean Baptiste Bessières (1768-1813), duca d' Istria

Figlio di un ricco barbiere, dopo essersi distinto nel collegio reale di Cahors come ottimo studente, allo scoppio della rivoluzione si arruolò nella Guardia nazionale insieme al suo grande amico Gioacchino Murat intravedendo nel nuovo governo la possibilità di dar sfogo alla sua passione per l'arte della guerra ed insieme ottime possibilità di carriera. Nonostante questi secondi fini non bisogna trascurare che Bessières credeva veramente negli ideali della Rivoluzione francese.
Nel 1795 il reggimento di Bessières fu trasferito nell'armata d'Italia dove incontrò per la prima volta Napoleone Bonaparte; qui il futuro maresciallo si mise in luce per valore e coraggio fu quindi nominato dallo stesso Bonaparte comandante delle sue guardie del corpo. Combatté ad Arcole e conquistatosi una notevole fama seguì Napoleone in Egitto dove più che per azioni militari si distinse nel difendere la leadership del suo generale.
Tornato in patria nel 1799, appoggiò Napoleone nel colpo di Stato del 18 brumaio. L'appoggio fornito al futuro imperatore gli procurò il comando della Guardia Consolare. A capo di questo corpo d'élite si distinse nella campagna in Italia del 1800 partecipando attivamente nella battaglia di Marengo. Bessières durante questi anni strinse un forte legame con Napoleone che sarà duraturo.
Le sue abilità militari e la sua grande amicizia con Bonaparte garantirono la sua nomina a Maresciallo di Francia nel 1804; da maresciallo comandò l'erede della Guardia Consolare cioè la Guardia imperiale. Dopo aver guidato con grande abilità i suoi uomini nella battaglia di Austerlitz, 1805, solo con la campagna d'inverno del 1806-1807 ,dove la Guardia fu impegnata nella Battaglia di Eylau, egli ebbe la possibilità di dimostrare il suo valore. Nel 1808 gli fu affidato il corpo d'osservazione sui Pirenei con il quale fu costretto ad affrontare un'imponente insurrezione spagnola dove egli per la prima volta dimostrò grande determinazione e spietatezza. Sempre in Spagna ottenne la sua più grande vittoria a Medina de Rìo Seco il 14 luglio 1808 dove sconfisse un'armata Anglo-Spagnola comandata dal generale Joaquín Blake.
Sostituito in Spagna dal generale François Étienne Kellermann, partecipò alla campagna del 1809 in Austria, guidando il corpo di riserva di cavalleria nella battaglia di Aspern-Essling, dove i suoi cavalieri ed i corpi dei marescialli Jean Lannes e Andrea Massena furono attaccati da un nemico quattro volte superiore di numero: in tale occasione Bessières mostro la sua grande abilità nel guidare i suoi uomini, ma anche la sua indecisione. Questo difetto non lo rendeva l'uomo adatto ad un comando autonomo, tuttavia nel 1811 tornò in Spagna al comando dell'Armata settentrionale di Spagna, ma la carenza di truppe e la situazione quasi insostenibile, dovuta alla presenza delle truppe britanniche nella penisola, che ben presto ebbero la meglio sull'Armata di Portogallo guidata da Masséna, lo portarono a perdere gradualmente terreno, così fu richiamato a Parigi e da qui partì per la Russia con un comando limitato: la cavalleria della Guardia. Dopo la ritirata di Russia, mentre Napoleone si preparava ad affrontare sul suolo tedesco le preponderanti truppe alleate, cavalcando in prima linea per osservare lo schieramento nemico a Lützen, fu colpito da una granata che l'uccise sul colpo. Quel 1º maggio del 1813 moriva uno dei più fidati uomini di Napoleone e suo amico nelle alterne fortune. Così Napoleone lo ricorda da Sant'Elena, rimpiangendo di non aver potuto avere il suo appoggio in un periodo così delicato per lui come i Cento Giorni: «Se avessi avuto Bessières a Waterloo, la mia Guardia mi avrebbe dato la vittoria».

Guillaume Marie Anne Brune (1763-1815)

Nacque da una famiglia borghese: il padre, Etienne Brune, era un giudice e si poté permettere di mandare il figlio a studiare legge a Parigi; qui, Guillaume, indebitatosi con il gioco d'azzardo, si impegnò con una casa editrice come correttore di bozze. Si appassionò presto al mondo della poesia e scrisse sotto pseudonimo un volume in prosa intitolato: Voyage pictoresque et sentimental dans les provinces occidentales de la France.
Allo scoppio della rivoluzione, Brune si arruolò e grazie al suo patriottismo si guadagnò presto il grado di capitano. Assieme a Jean-Paul Marat ed altri personaggi in vista dell'epoca, fondò il Club dei Cordiglieri, ove furono architettati ed orchestrati i complotti volti a rovesciare la monarchia. Dal 1792 gli furono affidati incarichi di polizia quali, ad esempio, lo scovare "realisti mascherati" e assolse tali incarichi con una brutalità e ferocia degne dei più accanniti esponenti del terrore. Nel 1796 l'allora generale di brigata fu inviato assieme al generale Bonaparte a sedare alcune insurrezioni nel sud della Francia e in quell'occasione mostrò una tale brutalità che i cittadini di Avignone non dimenticarono.
Alla fine della campagna d'Italia, alla quale partecipò sotto gli ordini del generale Andrea Massena, fu promosso generale di divisione. Nel 1798 gli fu affidato il compito di guidare un'armata per conquistare la Svizzera che fu occupata in breve tempo e, poiché Bonaparte era partito per l'Egitto, gli fu affidato il comando dell'Armata d'Italia.
Grazie ai successi ottenuti in Italia e in Svizzera, Brune fu scelto per organizzare la difesa dei Paesi Bassi, compito che svolse nel migliore dei modi costringendo gli inglesi a rinunciare alla conquista del paese dopo la battaglia di Castricum, 6 ottobre 1799.
A seguito del colpo di Stato che portò nel 1800 ad un radicale rimescolamento dei poteri, con Bonaparte a capo del paese, Brune fu costretto a quietare i suoi ardori rivoluzionari e, dopo esser intervenuto in Vandea per sedare un'altra rivolta, fu inviato come ambasciatore ad Istanbul. Nella città turca sfoggiò grandi doti diplomatiche, che tuttavia non furono sufficienti per ammaliare il sultano. Tornato in Francia, fu insignito della carica di maresciallo nel 1804 senza tuttavia assolvere ad incarichi di rilievo.
Dopo aver governato le città anseatiche, Brune si ritirò a vita privata. Tornò sulla scena politica durante i Cento Giorni, ma dopo aver appreso della definitiva sconfitta di Napoleone a Waterloo, si sottomise nuovamente al re.
Lo stesso anno, 1815, dopo aver pronunciato un proclama alle sue truppe, fu assalito da una folla inferocita ad Avignone e con il suo solito coraggio non cercò di fuggire, ma scoprendo il petto esclamò: "Fate pure!" e così Guindon de la Roche pose fine alla sua vita con un colpo di carabina: il suo corpo fu poi gettato nel Rodano. Napoleone lo ricorda dall'isola di Sant'Elena come quello che fu e cioè un eroe della repubblica più che dell'Impero.
Il suo nome è inciso sotto l'Arco di trionfo di Parigi al 14º posto nella colonna 23 del Pilastro sud.

Louis Nicolas Davout (1770-1823), duca d'Auerstädt e principe d'Eckmühl

Di famiglia nobile, si iscrisse alla Regia Scuola Militare di Parigi nel 1785 e divenne sottotenente nel Reale Reggimento di Cavalleria dello Champagne nel 1788. Divenne tenente colonnello in seconda nel 1791. Nel 1792 venne assegnato all'Armée du Nord (Armata del Nord), sotto il comando del generale Dumouriez e si mise in luce per le sue capacità nella Battaglia di Neerwinden (1793). Fu nominato generale di brigata nel luglio 1793, venne quindi inviato in Vandea per reprimere le insurrezioni realiste. La nomina di generale di brigata gli fu revocata dopo poco tempo per un decreto di Robespierre che vietava ai nobili di far parte dell'esercito. Richiamato in servizio dopo la caduta dei giacobini, rientrò nel suo rango di generale e comandò un reparto di cavalleria nell'Armata della Mosella dove continuò a distinguersi per il valore dimostrato nei campi di battaglia. Venne trasferito in seguito nell'Armata del Reno e Mosella ma durante un attacco austriaco venne catturato. Successivamente venne rilasciato sulla parola dal comandante dell'armata austriaca, generale Dagobert von Wurmser. Davout venne liberato e rientrò in Francia dove, attendendo nuovi incarichi, ebbe tempo per leggere e studiare molti libri di ambito militare che influirono sulla sua preparazione. Nel 1796 ebbe un comando nell'Armata del Reno sotto il generale Jean Victor Marie Moreau. Dopo il trattato di Leoben (1797), Davout venne consigliato al generale Napoleone dal suo amico Desaix come potenziale comandante di brigata di cavalleria per l'Armata d'Inghilterra, destinata, però alla Campagna d'Egitto. Lì Davout militò sotto l'autorità del suo amico Desaix (conosciuto durante le Guerre Rivoluzionarie), partecipando a molti degli scontri più importanti, quali la battaglia delle Piramidi e la battaglia di Abukir e continuando a dimostrare valore e dote per il combattimento. Non venne scelto da Napoleone per accompagnarlo nel suo rientro in Francia ma riuscì ad ottenere un congedo per rientrare in patria solo il 3 marzo 1800. Non partecipò (poiché malato) alla Battaglia di Marengo dove morì il suo amico Desaix, ma appena possibile tornò nell'esercito al comando della cavalleria leggera dell'Armata d'Italia venendo promosso generale di divisione. In seguito si sposò felicemente con Aimée Leclerc, cognata di Paolina Bonaparte, dalla quale ebbe otto figli (solo quattro sarebbero sopravvissuti all'infanzia).
Nella lista dei marescialli pubblicata il 18 giugno 1804, Davout compariva al 13º posto, dopo Michel Ney e prima di Jean Baptiste Bessières. Napoleone gli assegnò, il 23 settembre 1805, il comando del III Corpo d'Armata della Grande Armée che egli condusse in tutte le maggiori campagne dal 1805 fino al 1812.
Davout, in qualità di maresciallo, partecipò con ruolo attivo alla campagna del 1805, nella quale portò un sostanzioso contributo alla resa di Ulma; in seguito Vienna venne presa dal maresciallo Joachim Murat e venne dato ordine a Davout di rimanere nei pressi della capitale. qualche giorno prima della battaglia di Austerlitz Napoleone diede ordine a Davout e al maresciallo Jean-Baptiste Bernadotte di ricongiungersi con il resto dell'esercito, che nel frattempo aveva inseguito l'esercito alleato, ora volenteroso di ingaggiare una battaglia decisiva. Il III Corpo di Davout, per arrivare in tempo alle posizioni prestabilite dovette percorrere più di 100 chilometri in appena 46 ore. Ad Austerlitz Davout comandava, con le poche truppe che era riuscito a condurre (divisione Friant e divisione di dragoni di Bourcier), l'ala destra dell'esercito, con l'ordine di tenere occupate le colonne di fanteria e cavalleria alleate, mentre il maresciallo Nicolas Soult assaliva il centro con le divisioni dei generali Louis Saint-Hilarie e Dominique Vandamme, spaccando in due tronconi l'esercito alleato, secondo i piani di Napoleone. La Grande Armata ottenne una completa vittoria. Davout perse 1.494 soldati di cui 224 morti, dei 3800 che parteciparono alla battaglia, ma tutto questo passa in secondo piano se comparato con le forze che dovette affrontare, che ammontavano a circa 30.000 soldati.
Dopo il Trattato di Presburgo con la quale si sanciva la pace tra Francia e Austria, nel 1806 la Prussia aderì alla Quarta Coalizione, capeggiata, come sempre, dalla Gran Bretagna. Davout continuò a comandare il III Corpo, che formava l'ala destra della Grande Armée. Scoperta l'ubicazione dell'esercito prussiano Napoleone ordinò ai suoi marescialli di ricongiungersi a Jena per ingaggiare battaglia, mentre a Davout venne ordinato di marciare in direzione di Apolda con l'intenzione di tagliare la via di ritirata prussiana, mentre a Bernadotte venne dato ordine di seguirlo e, in caso, di sostenerlo. Il 14 ottobre la Grande Armée si scontrava con l'esercito prussiano nella battaglia di Jena conclusasi in un trionfo francese, ma quello che Napoleone pensava di aver affrontato non era il grosso dell'esercito nemico, bensì un distaccamento minore. Infatti durante gli scontri di Jena Davout, che continuava a marciare in direzione di Apolda, incontrò una forte resistenza ad Auerstedt. Qui il suo III Corpo, forte di 27.000 uomini e 40 cannoni, dovette scontrarsi con la maggior parte dell'esercito prussiano, 63.500 uomini e 230 cannoni, comandati dal duca Carlo Guglielmo Ferdinando di Brunswick-Wolfenbüttel. Nella battaglia che seguì i prussiani lanciarono ripetuti attacchi alle posizioni francesi venendo sempre puntualmente respinti. Sul finale della giornata, Davout lanciò una grande offensiva che mise in rotta definitivamente il resto dell'esercito prussiano. Il corpo di Bernadotte non si ritrovò né a Jena, né ad Auerstadt quel giorno, vagando tra i due contingenti francesi senza mai impegnarsi in scontri, il che mandò su tutte le furie l'imperatore. Le perdite alla fine della battaglia di Auerstadt furono per la Prussia di circa 10.000 morti (tra i quali lo stesso duca di Brunswick) e 3.000 catturati con 115 cannoni, da parte francese le perdite furono di circa 7.000 soldati. Napoleone rimase incredulo dell'accaduto, tanto che disse al colonnello Falcon, del corpo di Davout, che era appena arrivato per dare la notizia: "Il vostro maresciallo deve vederci doppio". Ma in seguito l'imperatore riconobbe il suo valore e nel 1808 lo nominò duca.
Nella successiva campagna del 1807 Davout partecipò alla battaglia di Eylau e fu grazie a lui che Napoleone poté trasformare una quasi sconfitta in un pareggio. In questa battaglia Davout arrivò a scontri iniziati sull'ala destra dell'esercito francese, con il compito di aggirare le salde posizioni russe, cosa che fece con la solita abilità, piegando nel pomeriggio lo schieramento russo a "V" e costringendolo a ritirarsi. Dopo il Trattato di Tilsit Davout fu nominato governatore generale di Varsavia. Dopo lo scioglimento della Grande Armata e la partenza di Napoleone per la Spagna, il maresciallo Davout rimase in Germania e assunse il comando delle truppe francesi rimaste sul posto sotto il nome di Armata del Reno.
Non partecipò alla Guerra d'indipendenza spagnola; si distinse ancora una volta nella campagna del 1809 contro l'Austria dove sconfisse parte dell'esercito dell'arciduca Carlo d'Asburgo-Teschen nella battaglia di Eckmühl, per la quale ricevette il titolo onorario di Principe di Eckmühl. Mentre veniva combattuta la Battaglia di Aspern-Essling Davout si trovava a Vienna per tenere sotto controllo la capitale austriaca. Nonostante la sconfitta di Aspern-Essling meno di un mese dopo veniva combattuta quella di Wagram nella quale partecipò anche Davout con il suo III Corpo che formava, come al solito, l'ala destra. Il suo compito in questa battaglia era di conquistare la posizione fortificata di Markgrafneusiedl con l'intento di aggirare le posizioni dell'arciduca Carlo. La battaglia, combattuta dal 5 al 6 luglio 1809, anche se con grandi perdite (32.000 francesi e 40.000 austriaci) si risolse in un ultimo trionfo per Napoleone.
Nel 1810 divenne comandante in capo dell'Armata di Germania, stabilendo il suo quartier generale ad Amburgo. Durante il periodo 1811-1812 Davout fu occupato nell'organizzazione della Grande Armée in vista dell'invasione della Russia. Alla fine di questo periodo Davout ebbe il comando del I Corpo (68.600 soldati e 3.400 cavalieri) della Grande Armée la quale ammontava a circa 675.500 soldati e 1393 cannoni. La Campagna di Russia fu una campagna difficile per il maresciallo Davout che subì alcune critiche al suo operato; dopo aver battuto il generale Bagration alla battaglia di Mogilev, ma senza riuscire a impedirne la ritirata, contribuì alla vittoria nella battaglia di Smolensk e prese parte anche la dura Battaglia di Borodino. In questa occasione comandava di nuovo l'ala destra e propose all'Imperatore di aggirare le posizioni russe, sentendosi rispondere: "Voi avete sempre in mente di aggirare il nemico. È una manovra troppo rischiosa". Nonostante i continui rifiuti di Napoleone per aggirare le posizioni russe o impegnare la Guardia per un attacco decisivo la battaglia si concluse con una vittoria francese.
Il maresciallo Davout partecipò anche alla drammatica ritirata di Russia dove il suo corpo fu spesso in difficoltà; nella battaglia di Vjazma il maresciallo Davout venne tagliato fuori con il I corpo d'armata da un attacco dei russi e riuscì a salvarsi con gravi perdite grazie all'intervento delle truppe del principe Eugenio Beauharnais. In seguito il I corpo venne quasi distrutto nella battaglia di Krasnoi; egli dovette abbandonare il suo bagaglio compreso il bastone da maresciallo che cadde in mano russa. Davout fu accusato di aver abbandonato il maresciallo Ney che riuscì a sfuggire quasi per miracolo ai russi; partecipò anche al passaggio della Beresina. Fu presente all'ultimo consiglio di guerra della Campagna di Russia, avvenuto a Smorgoni, durante il quale Napoleone spiegò ai comandanti la propria decisione di tornare a Parigi lasciando il comando a Murat. Alla fine della ritirata il suo III corpo si era ridotto a soli 4.000 uomini in grado di impugnare un'arma. All'inizio della campagna del 1813 Davout prima difese Dresda (9-19 marzo) in seguito ricevette l'ordine di difendere Amburgo e il basso Elba. Durante tutto il periodo 1813-1814 Davout difese Amburgo dai ripetuti assalti della Sesta Coalizione, mantenendosi saldo sulle sue posizioni. Quando degli inviati alleati lo avvisarono che Napoleone aveva abdicato e che quindi doveva uscire dalla città Davout rispose spavaldamente:"L'imperatore, della cui caduta non sono a conoscenza, non ha l'abitudine di comunicare con un suo generale per mezzo del nemico". Il re in persona (Luigi XVIII) dovette inviargli la richiesta di lasciare Amburgo. Tornato in Francia il re lo bandì da Parigi e gli ordinò di rimanere nelle sue terre fino a nuovo ordine.
Fu l'unico maresciallo, insieme al collega Lefebvre ad accogliere Napoleone al suo ritorno alle Tuileries. Napoleone lo nominò Pari di Francia, Ministro della Guerra, governatore di Parigi e comandante in capo della Guardia Nazionale. Dopo gli avvenimenti di Waterloo Davout assunse il comando dell'esercito che consegnò al collega MacDonald. Si dimise dall'incarico di ministro e si ritirò nelle sue terre. Luigi XVIII gli tolse ogni titolo e appannaggio. In uno stato di grande indebitamento Davout continuò a condurre una vita semplice e tranquilla nelle sue terre. Nel 1817 venne reintegrato nei suoi titoli e riammesso nel titolo di Pari di Francia. Nel 1821 la sua salute si aggravò. Morì il 1º giugno 1823, all'età di cinquantatré anni, malato di tubercolosi. Egli fu un uomo severo con i propri soldati, inflessibile, probo, incorruttibile, rigido nella disciplina, intelligente e coraggioso; si preoccupò sempre di rifornire di viveri e equipaggiamenti i suoi soldati, i quali non lo amarono in vita ma lo piansero alla sua morte. In alcune delle battaglie più importanti, come Austerlitz, Auerstedt, Wagram, Borodino, comandò l'ala destra della Grande Armata: un posto ritenuto d'onore a quel tempo. Napoleone disse di lui: "Credevo mi amasse, invece ama solo la Francia"

Bon Adrien Jeannot de Moncey (1754-1842), duca di Conegliano

Il padre era avvocato a Besançon. Contrariamente al volere della famiglia, all'età di 15 anni Moncey scappò dal collegio e si arruolò in fanteria, dove servì fra i granatieri sino al 1773. Congedatosi due volte, si impegnò nello studio del diritto. Nel 1774 entrò nella gendarmeria della Guardia dove restò sino al 1778. L'anno dopo divenne sottotenente nel corpo di fanteria di Nassau-Siegen; nel 1782 tenente in seconda e nel 1785 tenente in prima; il 1º aprile 1791 divenne capitano.
Servì in Svizzera nel 1800, con l'Armata d'Italia nel 1801. Nello stesso anno, il 3 dicembre, Napoleone istituì l'ispettorato generale della gendarmeria e la affidò a Moncey, il quale divenne così omologo al ministro della Polizia. Conservò il posto durante tutto il Primo Impero e la Restaurazione.
Divenne maresciallo dell'Impero nel 1804, e comandante dell'armata di riserva del Nord, col grado di maggior generale, quindi comandante dei corpi d'armata di osservazione delle coste dell'oceano (21 dicembre 1807), destinati all'invasione della Spagna.
Entrò in Spagna nel marzo 1808 riportando alcune vittorie e diventando ufficialmente duca di Conegliano il 25 luglio. Dal 1809 al 1813 comandò varie armate di riserva.
Nel 1814 divenne comandante della Guardia nazionale parigina, e il 30 marzo, durante la battaglia alle porte della città, diede mostra di fermezza di carattere e presenza di spirito non comuni difendendo la porta di Clicy contro i russi.
È nominato pari di Francia da Luigi XVIII alla prima Restaurazione e anche da Napoleone durante i Cento Giorni, durante i quali peraltro si tenne in disparte.
Alla Restaurazione ebbe l'audacia di rifiutare di presiedere il consiglio di guerra incaricato di giudicare il maresciallo Ney, il che gli valse tre mesi di prigione alla fortezza di Ham. Il 3 luglio 1816 fu reintegrato da Luigi XVIII nel suo grado e nella sua dignità, nuovamente nominato pari di Francia nel 1819.
Dal 1820 al 1830 comandò la 9ª divisione militare.
Nel 1833 fu nominato governatore dell'Hôtel des Invalides ed accolse il 15 dicembre 1840 le spoglie di Napoleone riportate in patria da Sant'Elena. Già gravemente malato, si racconta abbia detto al suo medico: «Dottore, fatemi vivere ancora un po', voglio ricevere l'Imperatore». Per la cerimonia si fece trasportare su una sedia sino al feretro, accarezzò l'impugnatura della spada di Napoleone e dichiarò infine: «Adesso andiamo a morire».
Morì il 20 aprile del 1842, e il maresciallo Soult ne pronunciò il discorso funebre. Il decano dei marescialli non viene citato che una volta nel Memoriale di Sant'Elena redatto da Emmanuel de Las Cases, con le parole: «Moncey è stato un onest'uomo».


Jean-Baptiste Jourdan (1762-1833)

Figlio di un chirurgo, entrò nell'esercito francese all'età di 16 anni e partecipò alla guerra di indipendenza americana inquadrato nel reggimento francese. Tornato in Francia nel 1782, si sposò e si stabilì mettendosi in affari come mercante di seta a Limoges.
Si arruolò nuovamente nel 1789 come capitano della Guardia nazionale e fu eletto tenente colonnello del 2º battaglione dell'Haute-Vienne che fu inquadrato nell'armata del Nord. Partecipò alla campagna del Belgio sotto il generale Dumouriez, combattendo a Jemappes (6 novembre 1792) ed a Neerwinden (18 marzo 1793) e, distintosi pure in combattimenti sporadici presso Namur, fu promosso nello stesso anno prima generale di brigata (27 maggio) e quindi generale di divisione (30 giugno).
Napoleone lo chiamò in servizio, ed a giugno 1800 lo nominò ispettore della fanteria e della cavalleria, quindi ambasciatore presso la Repubblica Cisalpina, amministratore generale del Piemonte e consigliere di Stato. Nel gennaio 1803 fu eletto candidato conservatore al Senato per il collegio della Haute-Vienne e quindi nominato comandante in capo dell'armata d'Italia. Nel maggio dell'anno successivo fu creato Maresciallo di Francia ed insignito del Gran cordone della Legion d'Onore.
Il 26 maggio 1805 partecipò all'incoronazione di Napoleone Re d'Italia, dove ebbe l'onore di portare, come simbolo degli onori di Carlo Magno la spada durante la cerimonia. Successivamente fu rimpiazzato al comando dell'armata nuovamente dal Massena, si lamentò presso Napoleone che nel 1806 lo inviò a Napoli come governatore della città, ove si legò a Giuseppe Bonaparte, che seguì in Spagna nel 1808 come consigliere militare.
Disgustato chiese di essere richiamato in Francia e fu accontentato alla fine del 1809. Qui visse tranquillo con la famiglia finché Napoleone, deciso a portare guerra alla Russia, gli ordinò di tornare in Spagna a fianco del fratello. Dopo la ritirata di Madrid e la sconfitta dei francesi nella Battaglia di Vitoria ad opera di sir Arthur Wellesley il 20 giugno 1813, Jourdan si ritirò nuovamente in Francia. Qui fu nominato l'anno successivo comandante della 19ª divisione militare, comando che gli fu riconfermato con l'avvento della Restaurazione.

François Étienne Christophe Kellermann (1735-1820)
Maresciallo onorario, duca di Valmy


François Étienne Christophe Kellermann, duca di Valmy (Strasburgo, 28 maggio 1735 – Parigi, 13 settembre 1820), è stato un generale e politico francese dei periodi pre-rivoluzione, rivoluzionario e poi napoleonico; fu nominato da Napoleone maresciallo dell'Impero, duca di Valmy e senatore dell'Impero.
Proveniente da nobile famiglia d'origine sassone, residente da due secoli a Strasburgo, era figlio di François de Kellermann, alto funzionario, e della baronessa Marie von Dyrr.
Entrò cadetto all'età di quindici anni nell'esercito francese e raggiunse il grado di capitano durante la guerra dei sette anni, divenne maggiore degli ussari nel 1779, brigadiere delle armate del Re nel 1784, maestro di campo degli ussari e poi generale nel medesimo anno ed infine maresciallo di campo nel 1788. All'inizio della Rivoluzione francese, nell'agosto 1792 fu inviato in Alsazia come comandante in capo dell'armata della Mosella. I primi giorni si mosse per congiungere la sua armata a quella del Nord, comandata dal generale Dumouriez. Fu uno dei protagonisti il 20 settembre di quell'anno, della Battaglia di Valmy. Successivamente fu sottoposto al generale Custine che riuscì a fargli togliere il comando. Gli fu allora affidato quello delle armate delle Alpi e d'Italia.
Inviato a reprimere la rivolta dei lionesi entrò in urto con i rappresentanti politici della Convenzione, che pretendevano di insegnargli il mestiere: venne incarcerato per tre mesi nel periodo del Terrore e scampò per poco al patibolo. Dopo la caduta di Robespierre riprese nel gennaio 1795 il comando delle sue armate ma nel 1796 fu rimpiazzato dal giovane Napoleone Bonaparte nel comando dell'armata d'Italia. Lasciò il comando dell'armata delle Alpi nella primavera del 1797. Nel 1799 Kellermann divenne ispettore generale della cavalleria e dopo il colpo di Stato del 18 brumaio fu chiamato a far parte del senato e nel 1801 gliene fu affidata la presidenza.
Nel periodo imperiale ottenne il cordone di Grande Ufficiale, la dignità di Maresciallo dell'Impero (1804) e nel 1808 il titolo di duca di Valmy. Tutti questi riconoscimenti da parte di Napoleone non gli impedirono il 1º aprile 1814 di votare in senato a favore della destituzione dell'imperatore. Fu inserito allora fra i Pari di Francia. Durante i Cento giorni Kellermann non accettò incarichi e durante la Restaurazione si trovò fra i difensori della libertà pubblica alla Camera dei Pari, ove fu poi sostituito dal figlio.


Jean Lannes (1769-1809), duca di Montebello

Quinto di otto figli, lasciò il suo apprendistato come tintore nel 1792 per entrare nel corpo della Guardia Nazionale di Lectoure ove apprese i primi rudimenti del mestiere di soldato.
Come molti suoi compagni d'armi s'unì al secondo battaglione dei volontari di Gers, di base ad Auch, per completare la sua formazione militare e venne presto eletto sottotenente del medesimo battaglione che fu assegnato all'armata dei Pirenei, il 20 giugno di quell'anno. Il 21 ed il 22 maggio partecipò alla battaglia Aspern-Essling dove si compì il suo tragico destino. Verso il termine dei combattimenti, quando ormai le truppe francesi stavano vincendo la battaglia, ricevette l'ordine di fermarsi a causa di una interruzione nella linea dei rifornimenti.

In attesa di ulteriori ordini si sedette su un masso ove fu raggiunto da un colpo di cannone che gli fratturò un ginocchio. Portato nell'infermeria da campo gli fu amputata la gamba destra ma ciò non gli evitò la gangrena che si manifestò l'indomani e lo portò a morte fra atroci dolori dopo una settimana. Il suo decesso addolorò profondamente l'imperatore, che considerava Lannes uno dei più fedeli, se non il più fedele, dei suoi diretti collaboratori. Durante l'esilio a Sant'Elena Napoleone dedicò, nelle sue memorie, parole di stima ed apprezzamento per il Maresciallo Lannes. Di lui disse «L'ho trovato che era un pigmeo e l'ho lasciato che era un gigante».
Lannes fu considerato da Napoleone il suo più caro amico, anche ai tempi dell'Impero permise a lui soltanto di dargli del tu nelle occasioni ufficiali, cosa che era riservata solo a Giuseppina e neppure ai membri della sua famiglia. Per il suo particolare carattere, Napoleone lo chiamava affettuosamente "Orso Lannes".
Lannes è stato sepolto nel Cimitero di Montmartre.

François Joseph Lefebvre (1755-1820)
Maresciallo Onorario, duca di Danzica.


Il giovane François venne avviato alla vita ecclesiastica dallo zio abate, ma ben presto egli ne rivelò le scarse attitudini, per poi arruolarsi a diciassette anni nel reggimento delle Guardie francesi.
Nel 1782 divenne sergente e l'anno successivo si sposò con una lavandaia, Cathérine Hübscher, che rimase sua fedele compagna per tutta la vita.
Nel 1789 il reggimento delle Guardie francesi partecipò alla presa della Bastiglia ed è noto che Lefevbre simpatizzò sin dall'inizio per la rivoluzione pur non sopportando i giacobini radicali; nello stesso anno il reggimento fu sciolto ed egli passò nel Battaillon des Filles-Saint-Thomas con il grado di sottotenente. Come comandante di una compagnia di granatieri si guadagnò il rispetto e l'affetto dei suoi uomini e il 1º gennaio 1792 divenne capitano del 13º battaglione di fanteria leggera dell'Armata della Mosella.
Lo scoppio della guerra della Prima Coalizione accelerò la sua carriera, tanto che nel 1794 divenne generale di brigata; l'anno successivo venne promosso a generale di divisione in «...riconoscimento del talento e del coraggio dimostrati» durante i combattimenti intorno a Kaiserslautern. Prima che l'anno fosse finito, Lefebvre divenne generale di divisione ad interim, distinguendosi a Geisberg e Wissembourg. Quello stesso anno l'Armata della Mosella e alcuni contingenti delle armate del Reno e del Nord furono fuse, costituendo l'Armata di Sambre e Meuse, con a capo il generale Jourdan. Dopo alcune sconfitte iniziali, i francesi riportarono un'importante vittoria contro le truppe austriache a Fleurus. La divisione di Lefebvre rimase sempre salda al suo posto, al contrario di altre, e inoltre lanciò il contrattacco definitivo che risolse la giornata. Lefebvre partecipò poi alle campagne militari del 1795/'97 come comandante delle avanguardie prima nell'Armata del Reno e della Mosella, poi nell'Armata di Sambre e Mosa distinguendosi sempre per «...talento e valore, come comandante di grande competenza, energico ed affidabile». L'anno successivo andò in congedo tuttavia, un anno dopo, venne richiamato per fronteggiare la Seconda Coalizione ed assunse il comando di una divisione dell'Armata del Danubio, sotto il comando di Jourdan. I francesi vennero battuti a Ostrach, sia pure con qualche difficoltà, dagli austriaci e lo stesso Lefebvre venne ferito ad un braccio da una pallottola. Ritornò quindi a Parigi per la convalescenza, ma trovò la capitale in pieno fermento: ormai il Direttorio era alquanto impopolare e, nel tentativo di scongiurare rivolte, il generale fu messo a capo del 17º distretto militare di Parigi. Ma nel mese di ottobre tornò dall'Egitto il Bonaparte, che assieme ad alcuni membri del Direttorio, si apprestava a compiere un colpo di Stato; lo stesso Lefebvre venne invitato a far visita al quartier generale di Napoleone, dove egli espose le sue intenzioni e ne chiese il suo appoggio. Per tutta risposta Lefevbre disse: «Si, buttiamo nel fiume i legulei».
Con l'avvento del Consolato, ebbe l'incarico di reprimere un'insurrezione in Vandea, nel 1800 divenne senatore e nel 1804 il suo nome compariva nella lista dei diciotto marescialli dell'Impero.
Come Kellermann, Perignon e Serurier le sue mansioni erano ormai principalmente al Senato, anche a causa delle ferite gravi riportate gli anni precedenti, che non gli permettevano più di mantenere un comando sul campo. Allo scoppio della guerra delle terza Coalizione, nel 1805, Lefevbre ebbe solo comandi sedentari o di seconda linea. Tuttavia verso la fine di quell'anno gli venne affidato il comando della fanteria della Vecchia Guardia, incarico importante ma che lasciava poca libertà.
Nel 1807 ricevette l'incarico di comandare l'assedio alla fortezza di Danzica, con un esercito di truppe provenienti da vari paesi. Fu un assedio in piena regola che durò dal 10 marzo al 25 maggio 1807, nel quale egli si distinse per coraggio ed esempio personale; con la capitolazione della fortezza venne nominato duca di Danzica.
L'anno successivo partecipò, con non troppo successo, alla campagna di Spagna, sotto il comando di Napoleone. Egli non comprese la strategia dell'Imperatore e nonostante avesse battuto gli spagnoli a Espinosa, rischiava di mandare a monte l'intero piano di accerchiamento, fin quando nel 1809 non venne destituito dal suo incarico per passare al comando del 7º corpo bavarese. In quella zona l'Austria si preparava all'offensiva e le truppe, disposte maldestramente da Berthier (concentrate a Ratisbona e ad Augusta, 120 km di distanza) erano facile preda. Tuttavia il 7º corpo da solo tenne il varco tra le due città e in collaborazione con Davout, Lefebvre ne smorzò l'offensiva e compì l'azione di copertura che permise a Napoleone di colpire a Eckmuhl. Successivamente Lefebvre puntò sul Tirolo, che con alterne fortune tentò di pacificare; dopo Aspern-Essling ricevette l'ordine di ricongiungersi al resto dell'armata e durante la battaglia di Wagram il suo corpo d'armata non prese parte ad alcun combattimento. Tornò in Tirolo, che riuscì a pacificare dopo notevoli sforzi.
Nel 1810 si ritirò nei suoi possedimenti, ma ritornò in servizio due anni dopo come comandante della fanteria della Vecchia Guardia in occasione della campagna di Russia. Nonostante la sua età (58 anni) subì il calvario della ritirata ed il dramma della morte del figlio, generale di brigata; chiese di essere sollevato dall'incarico e non partecipò alle campagne del 1813.
Con l'invasione della Francia del 1814, egli fu richiamato in servizio e nonostante l'età diede grande prova di sé. Condusse personalmente una carica della Vecchia Guardia a Montmirail ed a Monterrai. Tuttavia, dopo la sconfitta di Napoleone a Arcis-sur-Aube, Lefebvre comprese che ormai era finita e fu tra i marescialli che chiesero l'abdicazione dell'Imperatore; e con la resa della Francia, egli riuscì, trattando con lo zar Alessandro, a far sì che l'Alsazia rimanesse francese. D'allora in poi le sue presenze a corte furono sempre più rare, ma accettò il seggio in Senato durante i Cento Giorni. Il 14 settembre 1820 morì a Parigi, assistito dalla sola moglie (tutti i suoi figli erano morti). Nonostante non fosse un genio tattico-strategico egli fu sempre un onesto soldato, coraggioso e coerente, al contrario di altri marescialli; i suoi prigionieri furono sempre trattati con umanità e tendenzialmente non era portato alla razzia. Lui e sua moglie furono sempre presi in giro per i loro modi rozzi e per le loro umili origini, ma si prodigarono sempre nell'aiutare le vittime di guerra. La sua salma è sepolta nel Cimitero di Père-Lachaise a Parigi.


Andrea Massena (1756-1817), duca di Rivoli, principe di Essling

Andrea Massena, in francese André Masséna, duca di Rivoli, principe di Essling (Nizza, 6 maggio 1758 – Parigi, 4 aprile 1817), è stato un generale francese, maresciallo dell'Impero.
Di modeste origini sociali, Massena diede prova di grandi qualità militari durante le guerre rivoluzionarie francesi, dimostrandosi uno dei migliori generali della Repubblica. Dopo essere stato il principale luogotenente del generale Napoleone Bonaparte durante la prima campagna d'Italia, vinse la seconda battaglia di Zurigo, che ebbe grande importanza per le sorti francesi nel 1799. Durante l'Impero napoleonico confermò le sue capacità di condottiero sia alle dipendenze dirette di Napoleone, sia come comandante autonomo in teatri secondari. L'insuccesso della sua campagna nella penisola iberica contro gli anglo-portoghesi nel 1810 mise fine alla sua carriera di comandante sul campo.
Dotato di elevate capacità strategiche e tattiche, in grado di esercitare il comando con energia e avvedutezza, dal carattere solido ed entusiasta, Massena venne considerato da Napoleone il suo miglior comandante e venne da egli soprannominato il figlio prediletto della vittoria" per la sua brillante prova alla battaglia di Rivoli.
Nonostante alcune debolezze morali, la notevole avidità personale e i suoi metodi di guerra a volte spietati, Andrea Massena è considerato uno dei più grandi generali francesi del periodo rivoluzionario e napoleonico.

Édouard Adolphe Casimir Joseph Mortier (1768-1835), duca di Treviso

Édouard Adolphe Casimir Joseph Mortier, duca di Treviso (Le Cateau-Cambrésis, 13 febbraio 1768 – Parigi, 28 luglio 1835), è stato un generale francese, maresciallo dell'Impero con Napoleone Bonaparte.
Mortier nacque a Le Cateau-Cambrésis ed entrò nell'esercito con il grado di sottotenente nel 1791.
Combatté nelle guerre rivoluzionarie francesi, nelle campagne del 1792 e del 1793 sul fronte di nord-est, nei Paesi Bassi e successivamente sulla Mosa e sul Reno. Nella guerra della seconda coalizione, nel 1799, venne promosso generale di brigata e generale di divisione.
Guidò l'occupazione francese del Principato di Hannover, all'epoca possedimento di Giorgio III del Regno Unito: il 5 luglio 1803, Mortier ottenne dal Wallmoden la firma della Capitolazione di Artlenburg, che, sino al tardo 1813, segnò il destino dei possedimenti sul continente della famiglia di Hannover. In conseguenza dei suoi successi, Napoleone lo incluse nella prima lista di marescialli creati nel 1804.
Successivamente, Mortier ebbe il comando di uno dei corpi della Grande Armée alla battaglia di Ulma, e si distinse particolarmente per la sua brillante azione nella battaglia di Dürrenstein; nel 1806 operò nuovamente nella zona di Hannover e, nel 1807, combatté con la Grande Armée nella battaglia di Friedland.
Nel 1808, Napoleone lo nominò duca di Treviso titolo che si estinse nel 1912. Poco dopo fu messo al comando di un corpo d'armata nella campagna napoleonica per la conquista di Madrid. Mortier rimase in Spagna conquistando la vittoria nella battaglia di Ocaña nel novembre 1809. Nel 1812 e nel 1813 comandò la Giovane Guardia, e nella campagna difensiva del 1814 rese degli importanti servizi in operazioni di retroguardia e di distaccamenti. Nel 1815, dopo il ritorno della casa di Borbone con Luigi XVIII di Francia, si riunì a Napoleone durante i Cento giorni, assumendo un importante comando, ma all'inizio della battaglia di Waterloo fu costretto a lasciarlo per un attacco di sciatalgia.

Gioacchino Murat (1767-1815), granduca di Berg e Clèves, re di Napoli e delle Due Sicilie

Gioacchino Murat, nato Joachim Murat-Jordy (Labastide-Fortunière, 25 marzo 1767 – Pizzo, 13 ottobre 1815), è stato un generale francese, re di Napoli e maresciallo dell'Impero con Napoleone Bonaparte. Era l'ultimo degli undici figli di una coppia di albergatori, Pierre Murat Jordy e la moglie, Jeanne Loubières. Essi gestivano beni del comune e benefici ecclesiastici della priorìa di La Bastide-Fortunière (dal 1763) e del priorato di Anglars (dal 1770). Divenne cognato di Napoleone Bonaparte sposando Carolina Bonaparte, sorella minore dell'imperatore.
Murat è un grande esempio della mobilità sociale che caratterizzò il periodo napoleonico (e anche delle conclusioni tragiche di molte folgoranti carriere). Subito destinato alla carriera ecclesiastica, lo si trova fra i seminaristi di Cahors, poi presso i lazzaristi di Tolosa. Si preparava al noviziato sacerdotale, ma era amante della bella vita, contraeva debiti e temendo le ire paterne si arruolò, il 23 febbraio 1787, nei "cacciatori delle Ardenne", poi nel 12º reggimento dei cacciatori a cavallo, unità di cavalleria che reclutava uomini audaci. Istruito, si distinse presto, ma nel 1789 venne espulso per insubordinazione e tornò nella casa della sua famiglia.
Fece per un po' di tempo il mestiere paterno poi, arruolatosi nuovamente, fece parte della guardia costituzionale di Luigi XVI. Alla caduta della monarchia entrò nell'esercito rivoluzionario e divenne rapidamente ufficiale.
Nel 1795 era a Parigi a sostenere Napoleone contro l'insurrezione lealista. Lo seguì poi nella campagna d'Italia e in quella d'Egitto, dove fu nominato generale e fu determinante nella vittoria di Abukir contro i turchi. Partecipò attivamente al colpo di Stato del 18 brumaio 1799 e divenne comandante della guardia del Primo console. L'anno seguente, il 20 gennaio, sposò la sorella minore di Napoleone, Carolina Bonaparte, dalla quale ebbe quattro figli, due maschi e due femmine.
Eletto, nel 1800, deputato del suo dipartimento, il Lot, poi nominato comandante della prima divisione militare e governatore di Parigi, al comando di sessantamila uomini, nel 1804 fu nominato maresciallo dell'Impero e due anni dopo "granduca di Clèves e di Berg", titolo che lasciò al nipote Napoleone Luigi Bonaparte (figlio del cognato Luigi Bonaparte), Grande soldato e grande comandante di cavalleria, fu con Napoleone in tutte le campagne, pur non rinunciando alle proprie opinioni, come quando si oppose all'esecuzione del duca di Enghien. Era in effetti un combattente nato, un uomo sprezzante del pericolo, pronto ad attaccare anche quando la situazione era rischiosa e pericolosa: il coraggio non gli fece mai difetto.
Più volte le cariche travolgenti della sua cavalleria avevano risolto a favore dei francesi una situazione critica, come successe nella battaglia di Eylau, e determinante fu per il successo del colpo di Stato bonapartiano il suo contributo il 18 brumaio quando, insieme al Leclerc, comandava le truppe che stazionavano a Saint-Cloud di fronte alla sala ov'era riunito il consiglio dei Cinquecento. Tuttavia non eccelleva nell'arte militare e quando il coraggio e lo sprezzo del pericolo dovevano lasciare il posto al freddo calcolo, alla capacità di valutazione immediata della situazione sul campo di battaglia e alle relative decisioni strategiche, non dimostrava grandi doti: si può dire che in battaglia avesse molto più fegato (e cuore) che testa.
Esprime bene questo aspetto quanto lamentato dal generale Savary a proposito del comportamento avventato di Murat nella battaglia di Heilsberg (10 giugno 1807): «… sarebbe stato meglio che egli [Murat] fosse dotato di meno coraggio e di un po' più di buon senso!» Altrettanto significativi delle qualità e difetti del maresciallo sono due episodi avvenuti fra la battaglia di Ulma e quella di Austerlitz.dopo essere diventato re di Napoli.
Il 12 novembre 1805 Murat giunse in vista di Vienna, dichiarata dagli austriaci "città aperta", e stava per attraversare il Danubio nei sobborghi della città utilizzando l'ultimo ponte rimasto agibile, che un contingente di genieri austriaci era quasi pronto a far saltare. Non potendo prendere il ponte d'assalto, nel timore che gli artificieri nemici facessero brillare le mine, Murat e Lannes, accompagnati dal loro intero stato maggiore, si presentarono sulla riva meridionale del Danubio in grande uniforme da parata ed iniziarono ad attraversare a piedi il ponte urlando "Armistizio, armistizio" e sfoggiando grandi sorrisi.
Gli ufficiali austriaci che dirigevano le operazioni dei genieri erano interdetti e non osarono far aprire il fuoco sul gruppo di alti ufficiali francesi, apparentemente non più, al momento, belligeranti. Questi attraversarono il ponte e non appena giunti sulla riva settentrionale abbandonarono i sorrisi e, sfoderate le sciabole, si avventarono sugli artificieri più vicini neutralizzandoli.
In quel momento una colonna di granatieri francesi del generale Oudinot, che era rimasta celata nel bosco della riva meridionale, attraversò a passo di carica il ponte e sopraffece facilmente il reparto di genieri austriaci: il ponte era così salvo e le truppe di Murat e Lannes poterono attraversarlo senza pericoli. L'episodio divertì molto Napoleone che "dimenticò" così un precedente, recente svarione del cognato. Poco dopo però, un paio di settimane prima della battaglia di Austerlitz, presso Hollabrunn, mentre l'armata francese stava tentando di accerchiare quella russa di Kutuzov, Murat fu convinto dal generale russo Wintzingerode, venuto a parlamentare, a sottoscrivere, senza averne i poteri, una tregua d'armi che ebbe l'unico risultato di consentire al generale russo Bagration di sganciarsi dalla morsa in cui era stato costretto per coprire la ritirata del collega Kutuzov.
Ecco che cosa gli scrisse l'infuriato Napoleone quando seppe della tregua che l'incauto cognato aveva sottoscritto con l'astuto Wintzingerode: «Il tuo operato è veramente inqualificabile, e non ho parole per esprimere appieno i miei sentimenti! Tu sei solo un comandante della mia avanguardia e non hai diritto di concludere un armistizio senza un mio preciso ordine in tal senso. Hai buttato all'aria tutti i vantaggi di una intera campagna. Rompi immediatamente la tregua! Attacca il nemico! Marcia! Distruggi l'esercito russo! Gli austriaci si sono lasciati trarre in inganno al ponte di Vienna ma tu ora ti sei lasciato gabbare da un aiutante di campo dello zar!». Inutile dire che Murat non se lo fece ripetere, ma ormai il grosso delle truppe di Bagration si era tratto in salvo.
Nel 1808 Napoleone lo nominò re di Napoli, dopo che il trono sottratto ai Borbone si era reso vacante per la nomina di Giuseppe Bonaparte a re di Spagna. A Napoli il nuovo re, ormai noto come "Gioacchino Napoleone", fu ben accolto dalla popolazione, che ne apprezzava la bella presenza, il carattere sanguigno, il coraggio fisico, il gusto dello spettacolo e alcuni tentativi di porre riparo alla sua miseria, ma venne invece detestato dal clero.
Durante il suo breve regno, Murat fondò, con decreto del 18 novembre 1808, il Corpo degli ingegneri di Ponti e Strade (all'origine della facoltà di Ingegneria a Napoli, la prima in Italia) e la cattedra di agraria nella medesima università con decreto del 10 dicembre 1809, ma condannò alla chiusura, con decreto del 29 novembre 1811, l'antica Scuola medica salernitana, primo esempio al mondo di Università. Inoltre avviò opere pubbliche di rilievo non solo a Napoli (il ponte della Sanità, via Posillipo, nuovi scavi ad Ercolano, il Campo di Marte ecc.), ma anche nel resto del Regno (l'illuminazione pubblica a Reggio di Calabria, il progetto del Borgo Nuovo di Bari, il riattamento del porto di Brindisi, l'istituzione dell'ospedale San Carlo di Potenza ecc.).
Il 1º gennaio 1809, Murat introdusse nel regno il Codice Napoleonico, che, tra le varie riforme, legalizzò, per la prima volta nella penisola, il divorzio, il matrimonio civile e l'adozione, cosa che non venne gradita dal clero, il quale perse la facoltà di gestire le politiche familiari. La nobiltà apprezzò le cariche e la riorganizzazione dell'esercito sul modello francese, che offriva belle possibilità di carriera. I letterati apprezzarono la riapertura dell'Accademia Pontaniana ad opera di intellettuali che si riunirono nella residenza di Giustino Fortunato, e l'istituzione della nuova Accademia reale, e i tecnici l'attenzione data agli studi scientifici e industriali.
I più scontenti erano i commercianti, ai quali il blocco imposto ai commerci di Napoli dagli inglesi rovinava gli affari (blocco contro il quale lo stesso Murat tollerava e favoriva il contrabbando, il che costituiva un'ulteriore ragione per accordargli il favore popolare). Molto efficace, anche se attuata con metodi di sconvolgente crudeltà, fu la repressione del brigantaggio affidata dapprima al generale Andrea Massena e poi al generale Charles Antoine Manhès.
Nel 1810 per tre mesi Murat governò il regno dalle alture di Piale, frazione di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria. Egli, muovendosi da Napoli per la conquista della Sicilia (dove si era rifugiato il re Ferdinando I sotto la protezione degli inglesi, un esercito dei quali era accampato presso Punta Faro a Messina), giunse a Scilla il 3 giugno 1810 e vi restò sino al 5 luglio, quando fu completato il grande accampamento di Piale.
Nel breve periodo di permanenza, Murat fece costruire i tre forti di Torre Cavallo, Altafiumara e Piale, quest'ultimo con torre telegrafica (telegrafo di Chappe). Il 26 settembre dello stesso anno, constatando impresa difficile la conquista della Sicilia, Murat dismise l'accampamento di Piale e ripartì per la capitale. Non va infine sottovalutato il ruolo avuto nel governo del periodo murattiano dalla moglie Carolina, donna intelligente ancorché molto ambiziosa.
Il suo nuovo ruolo di re non gl'impedì di partecipare, nella Grande Armée, alla campagna di Russia, al comando della Cavalleria napoleonica e di un contingente di soldati del regno di Napoli. Il suo comportamento in battaglia fu, come in passato, eccellente. La sua carica nella battaglia della Moscova decise le sorti della medesima a favore dell'armata napoleonica. Così fu anche durante la ritirata e il 5 dicembre 1812 Napoleone, partendo per rientrare a Parigi, gli affidò il comando di ciò che rimaneva della Grande Armée.[5] Tuttavia Murat, giunto a Poznań, lasciò a sua volta il comando dell'armata francese ad Eugenio di Beauharnais il 16 gennaio 1813 e rientrò in tutta fretta a Napoli. Tornò comunque a fianco di Napoleone in tempo per combattere a Dresda ed a Lipsia, dopo di che lasciò l'armata.

Giunto a Milano l'8 novembre, Murat fece sapere all'ambasciatore austriaco di essere disposto a lasciare il campo napoleonico e due mesi dopo (11 gennaio 1815) veniva firmato un trattato di alleanza fra Austria e Regno di Napoli. La notizia, inviatagli da Eugenio di Beauharnais, giunse a Napoleone mentre era impegnato nella difesa del suolo francese, la sera del 6 febbraio e così reagì:

« …non può essere! Murat, al quale io ho dato mia sorella! Murat, al quale io ho dato un trono!
Eugenio deve essersi sbagliato. È impossibile che Murat si sia dichiarato contro di me. »
(Napoleone Bonaparte.)


Nel trattato l'Austria garantiva al Murat i suoi stati, (inclusa la Sicilia) ponendo così un'ipoteca sulle decisioni del congresso di Vienna, che in un primo tempo non volle privarlo del Regno di Napoli, appoggiata in questo anche dall'Inghilterra, che aveva riconosciuto ufficialmente il trattato dell'11 gennaio.

Il 1º marzo 1815 Napoleone sbarcava vicino Cannes, dopo essere fuggito dall'isola d'Elba, ed il 5 marzo Murat scrisse alle corti di Vienna e di Londra, che qualunque fossero state le sorti di Napoleone dopo il rientro in Francia dall'Elba, egli sarebbe rimasto fedele all'alleanza con i due stati, ma già il 19 dello stesso mese, egli invadeva lo Stato Pontificio con un esercito di 35.000 uomini. Murat proseguì ancora avanzando verso nord, entrò con il suo esercito nelle Legazioni, presidiate dall'esercito austriaco, che dopo alcuni tentativi di resistenza, si ritirò, lasciando a Murat anche la città di Bologna, ov'entrava il 2 aprile e l'8 aprile faceva presentare ai suoi plenipotenziari a Vienna una nota nella quale, pur protestando contro l'atteggiamento austriaco, ribadiva la sua volontà di rispettare gli accordi dell'11 gennaio. La risposta della diplomazia austriaca fu rapida: il 10 dello stesso mese il Ministro austriaco Metternich presentava ai plenipotenziari di Murat la dichiarazione di guerra ed il 28 aprile l'Austria firmava un trattato di alleanza con Ferdinando I delle Due Sicilie e la sovranità di quest'ultimo sul Regno di Napoli e di Sicilia venne successivamente ratificata dal Congresso di Vienna.

Murat venne sconfitto dagli austriaci, prima ad Occhiobello, poi, dopo una ritirata attraverso Faenza, Forlì e Pesaro, a Tolentino (2 maggio 1815); il successivo trattato di Casalanza (20 maggio 1815), firmato presso Capua per conto dello stesso Murat da parte di Pietro Colletta e Michele Carrascosa, sancì definitivamente la sua caduta ed il ritorno del Borbone sul trono.

Intanto Murat, dopo la disfatta di Tolentino e dopo aver emesso il 12 maggio il famoso proclama, falsamente datato 30 marzo 1815 e dedicato agli italiani, che chiamò alla rivolta contro i nuovi padroni, presentandosi come alfiere della loro indipendenza, era fuggito da Napoli il 22 maggio in abiti civili, lasciando in città la moglie Carolina ed i figli, ed era sbarcato a Cannes qualche giorno dopo. Qui errò a lungo per la Provenza, nella speranza che l'illustre cognato, ripreso il potere dopo la fuga dall'isola d'Elba, lo richiamasse nell'armata. Ma il Bonaparte non solo non lo richiamò, ma gl'impose, tramite un inviato del ministro degli esteri Caulaincourt, di tenersi lontano da Parigi e di soggiornare tra Grenoble e Sisteron. Venuto a conoscenza della disfatta napoleonica a Waterloo, Murat si rifugiò in Corsica, ove giunse il 25 agosto 1815 e dove fu presto circondato da centinaia di suoi partigiani. Organizzò quindi una spedizione per riprendersi il regno di Napoli. La spedizione, messa in piedi in fretta ed in furia e forte di circa 250 uomini, partì da Ajaccio il 28 settembre 1815. Dirottato da una tempesta in Calabria, Murat sbarcò l'8 ottobre nel porticciolo di Pizzo. Intercettato dalla Gendarmeria Borbonica al comando del Capitano Trentacapilli, fu da questi arrestato e fatto rinchiudere nelle carceri del locale castello. Informato della cattura dell'ex sovrano, il Generale Vito Nunziante (quale Governatore militare delle Calabrie) si precipitò incredulo da Monteleone, dove si trovava, a sincerarsi dell'identità del prigioniero.

Ferdinando IV, da Napoli, nominò una Commissione Militare competente a giudicare Gioacchino, composta da sette giudici e presieduta dal fedelissimo Vito Nunziante, al quale il re aveva ordinato di applicare la sentenza di morte in base al Codice Penale promulgato dallo stesso Gioacchino Murat, che prevedeva la massima pena per chi si fosse reso autore di atti rivoluzionari, e di concedere al condannato soltanto una mezz'ora di tempo per ricevere i conforti religiosi. Nell'ascoltare la condanna capitale Murat non si scompose. Chiese di poter scrivere in francese l'ultima lettera alla moglie e ai figli, trasferitisi nel frattempo a Trieste, che consegnò a Nunziante in una busta con dentro alcune ciocche dei suoi capelli. Volle confessarsi e comunicarsi, prima di affrontare il plotone di esecuzione che l'attendeva, e venne fucilato a Pizzo Calabro il 13 ottobre 1815. Di fronte al plotone d'esecuzione si comportò con grande fermezza, rifiutando di farsi bendare. Pare che le sue ultime parole siano state:


« Sauvez ma face — visez mon cœur — feu!» »


« Risparmiate il mio volto, mirate al cuore, fuoco! »
(Gioacchino Murat)


In seguito, circolarono voci che ritenevano Murat vittima di un complotto architettato da Giustino Fortunato e Pietro Colletta, i quali lo avrebbero attirato in Calabria facendogli credere di essere ricevuto ed acclamato dal regno, ma la vicenda si rivelò infondata. Otto giorni dopo la fucilazione il generale Nunziante fu nominato marchese mentre il tenente che eseguì la fucilazione diventò comandante. Sull'epilogo della vita di Murat il suo illustre cognato espresse, nelle proprie memorie, un giudizio lapidario:
« Murat ha tentato di riconquistare con duecento uomini quel territorio che non era riuscito a tenere quando ne aveva a disposizione ottantamila. »
(Napoleone Bonaparte)

Murat è oggi giorno ricordato con una lapide presente nel Cimitero del Père Lachaise, a Parigi, anche se si afferma che non sia effettivamente sepolto lì, ma che il suo corpo sia andato perso o distrutto dopo la sua esecuzione. Altri dicono che venne inumato in una chiesa di Pizzo Calabro, rendendo la rimozione del suo corpo possibile in seguito. In verità il suo corpo venne sepolto nella Chiesa di San Giorgio, che 5 anni prima aveva egli fatto edificare, in una fossa comune.[18]

Michel Ney (1769-1815), duca di Elchingen, principe della Moscova

Michel Ney, duca di Elchingen, principe della Moskowa (Sarrelouis, 10 gennaio 1769 – Parigi, 7 dicembre 1815), è stato un generale francese, Maresciallo dell'Impero con Napoleone Bonaparte.
Combattente energico, dotato di grande spirito offensivo e di carattere indomabile[senza fonte], dopo essersi distinto durante le guerre rivoluzionarie francesi, prese parte a gran parte delle guerre napoleoniche, distinguendosi nella campagna di Ulma, alla battaglia di Friedland, nella guerra di Spagna e soprattutto nella campagna di Russia; durante queste campagne dimostrò sempre combattività, coraggio personale e capacità tattica.
Non idoneo a grandi comandi autonomi senza la supervisione di Napoleone, Ney eccelse invece nella conduzione tattica sul campo di battaglia dove poté ispirare con il suo esempio personale, lo spirito combattivo delle sue truppe.[senza fonte] Dal carattere difficile e irritabile, Ney, dopo essere passato ai Borboni dopo la prima abdicazione dell'imperatore, tornò a fianco di Napoleone nei Cento Giorni e combatté nella battaglia di Waterloo, considerato un traditore dopo la Seconda Restaurazione, sarebbe stato processato e fucilato. Per il suo contributo alle vittorie di Napoleone, aveva ricevuto i titoli onorifici di "duca d'Elchingen" e di "principe della Moscova".

Catherine-Dominique de Pérignon (1754-1818). Maresciallo onorario, marchese di Grenade

Pérignon nacque in una famiglia della piccola nobiltà nel paese di Grenade-sur-Garonne, nel dipartimento di Haute-Garonne. Si arruolò come granatiere nel corpo dell'Aquitania ma in seguito si ritirò nelle sue proprietà. Pérignon si unì alla rivoluzione francese e ottenne un posto nell'Assemblea legislativa nel 1791, nelle file della destra, in seguito si dimise dal suo ruolo per intraprendere nuovamente la carriera militare durante le guerre rivoluzionarie francesi.
Nel periodo 1793-1795 fu al comando delle armate dei Pirenei orientali, sconfiggendo le armate spagnola nella battaglia di Escola e nella battaglia di San Lorenzo de la Muga, succedendo a Jacques François Dugommier come Général de Division dopo la morte di quest'ultimo sul campo di battaglia. Ottenne anche un importante successo conquistando la città di Roses. Nel 1796 fu eletto al Consiglio dei Cinquecento e divenne ambasciatore in Spagna del Direttorio, giocando un ruolo chiave nel Trattato di San Idefonso contro il Regno di Gran Bretagna.
La sua carriera in continua ascesa decadde rapidamente quando fu coinvolto in uno scandalo di contrabbando che portò alla luce anche una sua relazione piccante con una giovane donna rivelatasi una spia realista fedele ai Borboni. In seguito a questi scandali fu privato della carica di ambasciatore e mandato con l'esercito in Liguria, dove fu catturato dalle armate della seconda coalizione nella battaglia di Novi nel 1799. Fece ritorno in Francia soltanto l'anno seguente.
Pérignon fu un grande sostenitore di Napoleone Bonaparte, che lo ricompensò nominandolo senatore (1801), Maresciallo dell'Impero (1804) e conte; nel 1805 ricevette anche la Legion d'onore. Dal 18 settembre 1806 al 23 luglio 1808 fu governatore del Ducato di Parma. In seguito andò nel Regno delle Due Sicilie al servizio del Re Gioacchino Murat e di sua moglie Carolina Bonaparte.
Tornò in Francia nel 1814 schierato dalla parte dei sostenitori della restaurazione, cosa che gli consentì di ottenere il titolo di marchese di Grenade e di essere premiato con l'ordine di San Luigi. Negli ultimi di vita condusse un'esistenza relativamente tranquilla, morì a Parigi nel 1818.


Jean Mathieu Philibert Sérurier (1742-1819)
Maresciallo onorario, conte dell'Impero


Jean Mathieu Philibert Sérurier (Laon, 8 dicembre 1742 – Parigi, 21 dicembre 1819) è stato un militare e politico francese elevato da Napoleone Bonaparte al rango di Maresciallo dell'Impero. Fu soprannominato la "Vergine d'Italia".
Nato da una famiglia di ceto medio, divenne tenente della milizia provinciale di Laon e poi entrò nel Reale Esercito Francese, dove rimase per sette anni. Partecipò alle campagne di Hannover (1759), Portogallo (1762), e contro le forze ribelli di Pasquale Paoli in Corsica (1771). All'inizio della Rivoluzione francese raggiunse il grado di maggiore e poi riuscì a diventare colonnello, generale di brigata e infine generale di divisione.
Ha combattuto nelle guerre rivoluzionarie francesi sotto Kellermann e Schérer, nell'Armata delle Alpi, nel 1795, e infine sotto Napoleone Bonaparte in Italia nelle battaglie di Vico, Mondovì, Castiglione e nell'assedio di Mantova. Nel febbraio 1799 occupò la Repubblica di Lucca, ponendo fine al governo aristocratico che durava dalla metà del XVI secolo.
Mostrò grande talento amministrativo come governatore di Venezia (1801) e Lucca (1799) e aiutò Bonaparte nello svolgere il colpo di Stato del 18 brumaio. Ebbe una notevole carriera nell'ambito del Primo Impero francese, quando fu fatto senatore, conte, maresciallo, e governatore dell'Hôtel des Invalides a Parigi, dove, nel marzo 1814, al momento dell'arrivo degli eserciti della sesta coalizione, bruciò personalmente 1.417 bandiere e distrusse la spada e la fascia di Federico il Grande, per non farli cadere in mani nemiche.
Si unì a Napoleone durante i Cento giorni e questo causò la perdita del suo posto agli Invalides, una volta che Napoleone venne di nuovo sconfitto.
Sérurier morì in pensione e fu sepolto al cimitero Père Lachaise. Successivamente il suo corpo fu trasferito agli Invalides nel 1847. Fu eretta una statua in sua memoria a Laon.

Nicolas Jean-de-Dieu Soult (1769-1851), duca di Dalmazia

Di origini sociali borghesi, fece una rapida carriera nell'esercito della Repubblica, mettendosi in luce per energia e capacità militare durante le Guerre rivoluzionarie. Promosso generale nel 1794, nel 1804 venne nominato da Napoleone Bonaparte maresciallo dell'Impero. Considerato dall'imperatore uno dei suoi migliori luogotenenti e il "miglior manovriero d'Europa" ebbe un ruolo decisivo alla battaglia di Austerlitz ed alla battaglia di Jena. Passando al comando dell'esercito in Portogallo e Spagna nel 1808, ottenne molte vittorie ma, in disaccordo con gli altri comandanti francesi, non riuscì ad evitare il rafforzamento dei britannici del Duca di Wellington. Nicolas Soult, non privo di ambizione, di egoismo e di venalità, fu un abile tattico e stratega in grado di mettere in difficoltà i suoi avversari e di contendere sempre tenacemente il passo al nemico.
Dopo la fine dell'Impero napoleonico, continuò una lunga carriera politica e militare sotto la monarchia di Luigi Filippo d'Orleans.


Comandante del IV Corpo della Grande Armée

Battaglie
Battaglia di Fleurus
Battaglia di Stockach
Seconda battaglia di Zurigo
Assedio di Genova
Battaglia di Ulma
Battaglia di Austerlitz
Battaglia di Jena
Battaglia di Eylau
Battaglia di Gamonal
Battaglia di La Coruña
Prima battaglia di Oporto
Seconda battaglia di Oporto
Battaglia di Ocaña
Battaglia del Gebora
Battaglia di Albuera
Battaglia di Bautzen
Battaglia di Orthez
Battaglia di Waterloo

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