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CANAVESE - CON N.
Giacomo Pavetti

Il canavesano che diede la vittoria a Napoleone

        


Giacomo,  Antonio,  Michele,  Giacinto Pavetto (poi francesizzato in  Pavettì),  nacque a Romano Canavese l’11 gennaio 1772 da Pietro Antonio e  da Domenica Maria Acotto, originaria della frazione Crotte di  Strambino. All’età di 21 anni, nel 1794, si laureò in Diritto presso  l’Università di Torino, ove , verosimilmente , aderì alle idee liberali e  giacobine; e anche se non vi sono prove certe della sua militanza come  rivoluzionario della prima ora le autorità sabaude lo annoverarono ben  presto tra i personaggi da: ”tenere d’occhio”.

Alcune testimonianze frammentarie fanno intuire una sua partecipazione  molto intensa al punto che, stando alle testimonianze del Cavalli (1), nel settembre del 1798 il governatore di Ivrea cercò di farlo arrestare, ma egli riuscì a salvarsi con la fuga.

Con la caduta della monarchia nel dicembre di quell’anno e la presa di  potere dei giacobini il Pavetti fu nominato Pubblico Accusatore, membro  della Direzione Centrale della Finanze e Commissario Governativo per la  nomina della municipalità di Ivrea nel Governo Provvisorio, insediatosi  dopo l’abdicazione di Carlo Emanuele IV, e perorò insistentemente la  causa per l’annessione del Piemonte alla Francia.

A seguito dell’offensiva Austro-Russa del 1799 i realisti eporediesi  ripresero le redini della città ed il Pavetti la abbandonò rifugiandosi  in Francia.

Quivi si arruolò nell’Armèe de Reserve che il generale Berthier  stava allestendo a Digione per congiungersi a Napoleone, che intendeva  valicare il Gran San Bernardo in aiuto dell’”Armata di Italia”, al  comando del generale Massena, che si trovava asserragliato a Genova dopo  essere stato sconfitto dalle truppe realiste del generale Melàs.

Il 28 aprile 1800 il Pavetti era entrato nello Stato Maggiore Generale  con il grado di capo-battaglione. Tenuto in grande considerazione dai  generali francesi, oltre che per le sue doti e per la conoscenza dei  luoghi, anche per un episodio accaduto l’anno prima quando, dopo aver  battuto i nemici a Pont S.Martin, era riuscito a superare il forte di  Bard, punto cruciale per la riuscita dell’impresa in fase di studio dal  Primo Console.

Napoleone pertanto si consultò con lui quando decise di scendere in  Italia traversando la Valle d’Aosta, passando per quegli stessi sentieri  già utilizzati dal Pavetti.

Infatti sebbene il grosso delle truppe, con i cannoni ed i carriaggi  fosse bloccato dalle artiglierie del forte, l’avanguardia del generale  Lannes, passando per i sentieri indicati dal Pavetti, poté continuare la  marcia verso la pianura e, dopo aver sbaragliato diversi distaccamenti  austriaci, giungere alle porte di Ivrea, che riuscì a conquistare in  poche ore (2).

Una volta impadronitosi di Ivrea Napoleone decise di marciare su Milano  e, allo scopo di mascherare le sue mosse, incaricò il generale Lannes di  dirigersi verso Chivasso per attirare su di se le forze austriache.

Il 22 maggio l’avanguardia dell’Armèe de Reserve si schierò oltre il  Ponte Vecchio a fronteggiare gli austro-piemontesi attestati lungo il  torrente Chiusella.

Napoleone ordinò che la divisione Watrim attaccasse il nemico, forte di  circa 6000 fanti e 4000 cavalleggeri, che, anche con l’aiuto di 4  cannoni, presidiava il ponte sulla Chiusella presso Romano Canavese e  che, la mattina del 26 maggio 1800, riuscirono a bloccare gli attacchi  della 6° demi-brigade francese.

Il ponte non era quello che si vede attualmente percorrendo la statale  per Ivrea, ma si trattava di un antico ponte medievale ad otto arcate,   basso sull’acqua, lungo e stretto; ed i ripetuti assalti dei francesi si  infrangevano, con gravi perdite, contro il fitto tiro a palla ed a  mitraglia dei difensori.

Pareva che non ci fosse rimedio alcuno. Ma ecco intervenire il Pavetti,  nativo e conoscitore di quei luoghi che aveva frequentato sin da  bambino, rivolgersi al generale Lannes indicandogli un guado a monte del  ponte ed offrendosi di guidare egli stesso l’azione.

Attaccati sul fianco destro gli austro-piemontesi sono costretti a  ritirarsi, lasciando così libero il passaggio del ponte alle restanti  forze francesi, ed a sgomberare l’abitato di Romano attestandosi prima  sulle alture di Montalenghe e successivamente oltre la più difendibile  linea rappresentata dal torrente Orco.

All’istituirsi , dopo la vittoria di Marengo, da parte dei francesi di  un nuovo governo provvisorio in Piemonte fu chiamato, il 30 giugno,  anche Giacomo Pavetti come “reggente della Segreteria di Guerra”; per il  suo attaccamento alla causa francese e per i meriti militari fu anche  elevato al grado di capo-brigata della “Gendarmeria Piemontese” ed in  particolare, della 27° Legione di stanza ad Ivrea.

Nel 1803 ottenne l’incarico di giudice militare alla Corte Criminale  Speciale di Torino e, il 14 giugno 1804, venne decorato con la “Legione  d’Onore”.

Nel 1809 ricevette dalle mani di Napoleone il titolo di “Cavaliere dell’Impero” e venne promosso al grado di colonnello.

Ferito e catturato dagli inglesi nel 1810 in Spagna durante l’assedio  della città di Almeida, rientrò in Francia il 24 maggio 1814, dopo la  caduta di Napoleone, e giurò fedeltà al re Luigi VXIII, giustificandosi  col fatto di avere ancora il grado di colonnello, ma non un impiego in  quanto non ancora naturalizzato.

La naturalizzazione gli venne concessa il 20 novembre assieme alla  nomina di “Cavaliere di San Luigi” e un anno dopo, a quella di  “Colonnello delle Guardie Reali di Parigi”.

Nel marzo 1820 Napoleone fugge dall’esilio dell’Elba e torna in Francia  per l’avventura dei “100 giorni” e, fra le altre cose, sopprime la  Guardia Reale e destituisce il Pavetti, che verrà reintegrato  nell’incarico al ritorno di Luigi XVIII dopo la sconfitta di Napoleone a  Waterloo e la sua prigionia a S.Elena.

Le scarne cronache dell’epoca non fanno piena luce sulla repentina morte  del Pavetti; scrive il Bertolotti nelle sue “Passeggiate nel Canavese” (3)  che il 28 luglio 1815 il Pavetti si presentò a palazzo per conferire  con il re, ma si scontrò con il duca di Berry che lo accusò di avere  congiurato per rimettere Napoleone sul trono e minacciandolo di essere  già sospetto alla corte e quindi di attendersi gravi conseguenze.

Il Pavetti pare abbia risposto con molta dignità non disconoscendo la  sua passata riconoscenza e lealtà a Napoleone;dopodiché si diresse  subito presso la sua abitazione ove, con un rasoio, si suicidò  tagliandosi la gola.

Questa la tragica fine di un personaggio che fu tra i più emblematici del suo tempo.

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approfondimento di: Giuseppe Avataneo

(1) SFORZA G.:”L’indennità ai giacobini piemontesi perseguitati e danneggiati 1800-1802” – Torino 1909
(2) DAMILANO R.:La vita di Giacomo Pavetti (Indagine sui giacobini del canavese) – Ivrea 1997
(3) BERTOLOTTI A: Passeggiate nel Canavese – Ivrea 1867 - 1874

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