Vai ai contenuti
Menù
5 Maggio
Alessandro Manzoni
tratto dal sito
Il 5 maggio è una delle poesie scritte dall'intellettuale italiano Alessandro Manzoni in data 1821 in memoria della figura del francese Napoleone Bonaparte, morto nel periodo passato in esilio nell'isola di  Sant'Elena. Nella poesia Alessandro Manzoni ricorda le grandi battaglie vinte da Napoleone con l'esercito francese, mettendo in risalto gli aspetti principali del suo carattere e della sua personalità. Manzoni aveva conosciuto Napoleone Bonaparte, ma non aveva mai dato un  suo giudizio sulla figura del condottiero francese. Nel momento in cui  viene a conoscenza della morte del condottiero francese e della sua  conversione cristiana in punto di morte, il poeta scrive di getto la  lirica il 5 maggio, ricordando la figura del carismatico generale.
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita       5
la terra al nunzio sta,

muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale       10
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.

Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,       15
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:

vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,       20
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.

Dall'Alpi alle Piramidi,       25
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.       30

Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito       35
più vasta orma stampar.

La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;       40
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;

tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,       45
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.

Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,       50
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.

E sparve, e i dì nell'ozio       55
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.       60

Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere       65
prode remote invan;

tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,       70
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,       75
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,       80
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.

Ahi! forse a tanto strazio       85
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;       90

e l'avviò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre       95
la gloria che passò.

Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza       100
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.

Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,       105
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.
Spiegazione:

Il 5 maggio è un’ode in cui Manzoni vuole evidenziare la vicenda umana di Napoleone, non gli interessa il significato del suo ruolo storico. Manzoni non nomina mai Napoleone, ma usa sempre pronomi per indicarlo. Napoleone ha avuto tutto nella vita, come la gloria grazie a Dio che lo ha aiutato; quando è morto era da solo (è morto esiliato a Sant’Elena, un’isola sperduta nell’Oceano Atlantico). L’unica “persona” che non lo ha abbandonato sul letto di morte è stato Dio. Con questo Manzoni vuole intendere che davanti alla morte siamo tutti uguali. Manzoni ne il 5 maggio riflette sulla vita di Napoleone, immagina i suoi ultimi giorni e ne trae un messaggio religioso valido per tutta l’umanità.
Spiegazione dei versi:

Napoleone è morto. Come il suo corpo dopo l’ultimo respiro rimase immobile, privo di ricordi, privo di un’anima così grande, allo stesso modo la terra rimase stupefatta dalla notizia della sua morte, pensando in silenzio alla fine di quell’uomo mandato dal destino, da Dio: non sanno quando arriverà un altro uomo come lui che lascerà il segno.

Il mio spirito di poeta l’ha visto trionfante sul trono e non ha mai scritto niente su di lui (né un’ode né una poesia); quando con cambiamenti continui di sorte fu sconfitto, tornò al potere e poi fu di nuovo sconfitto, non ha voluto allearsi con nessuno, era da solo:

il mio genio rimasto puro, che non si è lasciato corrompere per scrivere qualcosa su Napoleone e lodarlo, ma ora che è morto io mi commuovo perché era una persona molto grande; e gli dedico quest’ode che rimarrà immortale nel tempo.

Dalle Alpi della campagna d’Italia alle Piramidi della spedizione in Egitto, dal Manzanarre (fiume spagnolo che bagna Madrid) al bacino del Reno (fiume dell’Europa centrale), ogni progetto di quell’uomo sicuro di sé veniva subito messo in atto; così quel fulmine di Napoleone scoppiò dallo stretto di Messina al fiume Don, da un mare a un altro mare.

La vita di Napoleone fu vera gloria? Lasciamo la difficile risposta ai posteri: noi chiniamo la fronte davanti a Dio che lo ha scelto e lo ha fatto diventare un uomo importante.

La tempestosa e timorosa gioia di un gran progetto, l’impazienza di un cuore che ubbidisce indocile perché pensa al potere; e lo raggiunge, e ottiene un premio che per altri sarebbe stato impossibile raggiungere;

Napoleone provò tutto: la gloria che è maggiore se conseguita dopo un  grande pericolo, la fuga e la vittoria, la reggia e il triste esilio:  due volte venne sconfitto e due volte tornò ad essere venerato.

Egli si proclamò imperatore: riuscì a conciliare due epoche contrastanti che si rivolsero a lui, sottomessi, per conoscere il proprio destino. Egli impose il silenzio e si sedette fra le due epoche come un arbitro.
Poi sparì e fu costretto a trascorre i giorni nell’ozio in una piccola isola, oggetto di grandissima invidia ma anche di profonda pietà, di odio implacabile ma anche di amore fedelissimo.

Come l’onda s’abbatte con tutta la sua forza sul capo di un naufrago, proprio la stessa onda sopra la quale, poco prima lo sguardo del misero riusciva a sollevarsi per cercare invano di scorgere rive lontane;

così, sull’animo di Napoleone scesero i ricordi! Oh chissà quante volte incominciò a raccontare la propria vita ai posteri e sulle pagine che  avrebbero dovuto ricordarlo per l’eternità, cadde la sua mano stanca!

Oh quante volte, al finire silenzioso di un giorno trascorso senza far  nulla, abbassati gli occhi che una volta comandavano, si fermò con le  braccia conserte e fu assalito dalla tristezza dei ricordi dei giorni  passati!

E ripensò agli accampamenti mobili, alle trincee battute  dell’artiglieria, al lampo delle armi dei manipoli di soldati, alle  cariche dei cavalli, agli ordini decisi e pronti e all’ubbidienza  immediata.

Ahi! Napoleone cadde nella disperazione; ma la mano di Dio interviene e con la morte lo toglie da una vita di sofferenze;

e l’avvio verso il Paradiso, attraverso i fiorenti pensieri della speranza, verso il premio che supera ogni desiderio, dove la gloria terrena , ormai passata, no ha più alcun valore.

Bella, immortale, benefica Fede abituata a trionfare sugli uomini! Registra quest’altro trionfo, rallegrati: perché nessuna autorità terrena così grande mai si chinò alla Croce.

Tu, o Fede, allontana dalla salma di Napoleone ogni parola cattiva: il Dio che getta nella disperazione  e che porta alla gioia, il Dio che  distribuisce dolori e ti consola sempre, si fermò accanto a lui, sul letto abbandonato da tutti.
Cinque maggio - Analisi

Dedicata a Napoleone. Scritta dal 17 al 19 luglio 1821, cioè subito dopo ch'era giunta a Milano la notizia della morte di Napoleone, avvenuta  appunto il 5 maggio.

1. Il Manzoni non ha mai amato la dittatura di Napoleone, però considerava giuste le idee della Rivoluzione francese, che Napoleone voleva imporre con la forza a tutta Europa.
2. Il Manzoni qui non giudica Napoleone col metro morale, non si chiede cioè se il suo operato fu "vera gloria", in quanto lascia la sentenza ai posteri. Dice soltanto che anche in Napoleone, Dio ha compiuto i suoi disegni in modo misterioso, senza che neppure Napoleone se ne rendesse conto.
3. L'uomo-Napoleone appare al Manzoni migliore del dittatore, anche perché si diceva fosse morto cristianamente. Di conseguenza il vero soggetto dell'ode civile è Dio che redime gli uomini, e Napoleone non è che l'oggetto della provvidenza di Dio.

L'ode è stata scritta da Manzoni in soli tre giorni (17-19 luglio 1821) subito dopo la notizia della morte di Napoleone, giunta a Milano il 16  luglio, che doveva provocare nel Poeta una notevole impressione che creò quello sgomento che sempre coglie gli uomini quando muoiono i Grandi che sembrano indistruttibili, una certa commozione che nel Manzoni si traduce nella meditazione sulla vita e sulla morte, sulla fragile  transitorietà delle glorie umane e terrene, sulla dolorosità della  solitudine, acuita dal ricordo delle grandezze passate e dall'ansietà di un desiderio, talvolta potente, di un aiuto che non arriva (Napoleone che scruta l'orizzonte lontano sul mare), e infine la pacificazione nella Benefica Fede, con una preghiera "a speredere ogni ria parola" superando la condizione umana contingente nell'attesa di raggiungere il premio / che i desideri avanza. Possiamo dividere l'ode manzoniana, composta da 18 sestine per complessivi versi 108, in due distinte parti simmetriche, comprendenti ciascuna 9 sestine: o la prima fino al verso 54, dominata dalla presenza dell'uomo di fronte a se stesso, alla sua storia terrena, alla sua gloria umana, al premio / ch'e follia sperar; domina Napoleone e la sua storia, per il quale Manzoni non si era  prodigato in elogi negli anni in cui dominò l'Europa, e non aveva neanche pensato un codardo oltraggio quando il destino dell'uomo era ormai segnato solo dalla sconfitta; di fronte alla morte di Napoleone il Poeta e la terra tutta restano muti nella meraviglia un po' dolorosa di  una morte "incredibile". o la seconda dal v. 55 alla fine, dominata  dall'incontro tra l'uomo e Dio, la benefica / Fede ai trionfi avvezza, che sola può dare quel premio / che i desideri avanza, / dov'è silenzio e tenebre / la gloria che passò. I verbi al passato remoto in questa seconda parte sono soltanto sei, le tre coppie sparve/chiuse, imprese/stette, ripensò/disperò ed esprimono una escalation verso una condizione di disperazione e di solitudine assoluta che può essere risolta solo attraverso l'intervento di una Forza esterna all'uomo. Per questo, finita l'escalation verso la disperazione, si impone una  presenza diversa.
Entrambe cominciano con la realtà presente della morte di Napoleone (Ei  fu al v. 1, E sparve al v. 55), di un Napoleone che è solo uno dei due  centri costitutivi dell'ode (l'altro è Dio). Ciò che colpisce l'immaginazione e la spiritualità del Manzoni non è la figura di Napoleone, dominatore degli eventi a cavallo fra il Settecento e l'Ottocento, o la storia dei fatti o delle idee di quegli anni, quanto il silenzio e la solitudine vissuti nell'isola di Sant'Elena, e la possibilità di un profondo pentimento maturato nella meditazione sulla  sua vita passato e di un affidamento alla pietà di Dio all'avvicinarsi  della fine dei propri giorni.
Il poeta rimane muto ripensando agli ultimi attimi della vita di un uomo che il Fato aveva voluto arbitro della storia e di tanti destini umani, di un uomo che si era posto lui stesso come Fato/arbitro dei destini  dei popoli e che racchiuse in sé le aspettative di un'epoca; e allora non può che ripensare a quando potrà esistere nuovamente un uomo altrettanto decisivi per i destini umani, che, calpestando la sanguinosa polvere del mondo e della vita, lascerà nella storia un'orma altrettanto grande.
E quegli ultimi attimi sono fusi nell'ansietà di un naufrago, oppresso dalla solitudine e dal peso delle memorie e delle immagini che si affollano nella memoria; e da quel naufragio lo salverà solo la benefica Fede nel Dio che atterra e suscita / che affanna e che consola.
Cinque maggio - Commento

L'ode esprime l'intensa commozione che l'improvvisa morte di Napoleone Bonaparte suscitò nel poeta e in tutti gli europei. Napoleone muore nell'isola di Sant'Elena, dove si trova in esilio, il 5 maggio 1821, ma  la notizia raggiunge Milano solo il 16 luglio e colpisce profondamente Manzoni che in soli tre giorni, dal 17 al 19 luglio, compone l'ode. La poesia non è una celebrazione della figura del grande imperatore, per cui il poeta non ebbe mai simpatia, ma una riflessione morale e religiosa sul mistero della morte. La rievocazione storica fa da sfondo al dramma  di un uomo che,dopo aver deciso i destini dell`Europa, si trova alla fine solo di fronte alla morte. Anche in quest'opera è evidente il richiamo alla Provvidenza, che sola piu dare un senso a tutte le imprese umane e che quindi giustifica la presenza di Napoleone nel mondo.
Cinque maggio - Parafrasi

Il cinque Maggio è un’ode civile (cioè carattere politico e storico) composta tra il 18 e il 20 luglio 1821 a Milano dopo che fu divulgata la notizia della morte di Napoleone, fu stampato nel 1823 per la prima volta. La struttura dell’ode si divide in tre momenti:
• La prima sequenza parla di Napoleone morto e delle sue eroiche imprese;
• La seconda presenta l’accavallarsi dei ricordi nella mente di Napoleone;
• La terza celebra il trionfo di Dio su Napoleone.

Parafrasi:
Morto. Così come il suo cadavere stette immobile dopo aver dato il suo respiro immemore di tutto e privato di una tale anima, così colpito e attonito rimase il mondo intero a quella inattesa notizia, la terra muta pensando all’ultima ora al quale possa essere stata fatale al destino. Ne sa quando un altro individuo altrettanto grande verrà a calpestare la polvere calpestata di sangue. Il mio genio poetico, vide in lui sfolgorante in trono e tacque; quando egli con alterne vicende fu sconfitto a Lipsia, risorse, e fu definitivamente sconfitto a Waterloo. Tuttavia non ha mai mescolato all’eco di chi lo adulava. Sorge ora commosso l’improvvisa scomparsa, di una così grande figura, davanti alle  spoglie terrene di Napoleone e compare per la tomba una poesia che  forse sarà mortale. Dall’Italia all’Egitto, dal Manzanarre al Reno era talmente veloce nell’equazione dei propri progetti, che l’idea non era ne ancora balenata, dallo stretto di Messina al fiume russo Don le sue vittorie vanno da un mare all’altro. E’ stata una vera gloria o fasulla? Noi qua, ci incliniamo alla volontà di Dio che volle stampare in lui una vastissima impronta. La pericolosa e trepida gioia di un gran disegno, l’ansia di un cuore che serve, ma non è docile pensando a quando ebbe avuto il suo regno e riceve un premio che sarebbe stato folle soltanto sperando. Egli provò ogni cosa, il massimo pericolo trovò la fuga perché fuggì in Russia, ma provò anche la vittoria, trovò la reggia e l’esilio. Due volte nella polvere fu idolatrato e posto come un Dio, Ma egli sommessamente lo guardarono, egli stabilì in silenzio, eliminò tutte le guerre e si impose come un arbitro fra due secoli. E sparì improvvisamente chiudendo nell’isola di Sant’Elena simbolo di smisurata invidia e di profonda pietà di inestinguibile odio e di amore indomato. Così come l’onda s’avvolge e pesa sulla testa del naufrago, l’onda sulla quale soltanto poco prima la vista del malcapitato scorrevano alti per cercare di vedere approdi lontani inutilmente così su quell’anima scese il peso delle memorie. Oh quante volte egli iniziò a scrivere le proprie memorie a quelli che sarebbero giunti dopo, e la mano cade stanca su quelle pagine che parlavano di eternità. Quante volte al tramonto di un giorno in cui non era accaduto nulla, chinati a terra gli occhi fulminei, chiuse al petto le braccia, rimase fermo e fu assalito dal ricordo delle sue imprese straordinarie. E ripensò agli accampamenti spostati in fretta, alle trincee nemiche bersagliate dai cannoni, il luccicare di spade, il galoppo dei cavalli, i comandi urlati sul campo di battaglia e l’ubbidienza. Forse il suo spirito affannato se piegò davanti allo strazio del ricordo e forse disperò ma sicuramente dal cielo giunse la mano di Dio che lo trasportò pietosamente in un’area più respirabile. Questa mano l’avviò per il sentiero della speranza alle regioni celesti, verso il premio che supera ogni desiderio, dove il silenzio e le tenebre sospirano nell’odio.
Cinque maggio - Sintesi

Il componimento è composto di 18 strofe di sei settenari ciascuna.
Manzoni lesse la notizia della morte di Napoleone sulla “Gazzetta di Milano” del 17 luglio e subito. compose di getto l’ode ultimandola nel giro di tre o quattro giorni. Lo presentò immediatamente alla censura austriaca, che però ne vietò la pubblicazione. Ma il componimento cominciò a circolare manoscritto e fu poi pubblicato, senza autorizzazione dell’autore, al di fuori del Lombardo-Veneto, divenendo molto popolare. Fu conosciuto anche all’estero, soprattutto grazie alla prestigiosa traduzione in tedesco di Goethe del 1822 e definita dal poeta “l’ode del secolo”, l’opera viene pubblicata anche in Piemonte nel 1823. Manzoni non nutriva simpatie politiche per l’uomo che aveva instaurato un potere personale a autoritario ma la sua morte avvenuta il 5 maggio sull’isola di Sant’Elena e le notizie giornalistiche che parlavano della sua conversione cristiana indussero Manzoni a rivedere la vicenda napoleonica da una nuova prospettiva.
L’ode è organizzata con una costruzione circolare: sia apre con “Ei fu” e termina con “posò”, due parole bisillabiche e accentate.

Le quattro strofe iniziali: Nelle quattro strofe iniziali, Manzoni rappresenta l’emozione sua e dell’Europa alla notizia della morte di Napoleone.
Strofe 1 - 2: immobilità del corpo di Napoleone,  diventato una spoglia senza coscienza di quello che era, un uomo qualunque. La terra, in silenzio, si rende conto che è morto un grande uomo; a Manzoni non interessa se nel bene o nel male, per lui l’importante è non essere mediocre: Napoleone ha lasciato un’impronta di sé quindi è un grande uomo.
Uom fatal”: - uomo voluto dal destino;
- uomo che aveva il potere di cambiare il destino del mondo.
Nell’Eneide, Enea veniva chiamato “uomo fatale”.
Strofe 3 - 4: atteggiamento che Manzoni ha avuto verso Napoleone. Manzoni non ha mai parlato di Napoleone in vita ma qui lo ammira. Manzoni dice che la sua ispirazione poetica è libera da ogni elogio servile, come aveva scritto nel carme “In morte di Carlo Imbonati”.
Quindi ci sta dicendo che la sua lode non è mai stata né di insulto né di lode per Napoleone fino a quando era in vita. Manzoni, come Foscolo, pensa che la poesia abbia una funzione eternatrice perché è convinto che il suo canto non morirà ed eternerà le urne dei forti, dei veri uomini.

Le dieci strofe centrali: Nelle dieci strofe centrali viene rievocata la vicenda terrena di Napoleone (cinque dedicate al condottiero, cinque all’esule).
Strofa 5: con una fulminea esposizione di nomi vengono citate tutte le campagne di Napoleone, con una grande capacità di sintesi: le due campagne d’Italia (1796 e 1800), la campagna egiziana, quella di Spagna (1806: il Manzamarre è un piccolo fiume che scorre presso Madrid), le varie campagne in Germania; gli eserciti napoleonici raggiungono l’Italia meridionale (la punta della Sicilia) e la Russia (il Tanai, o Don, è un fiume russo), e percorrono il mondo da un mare all’altro.
Strofa 6: “Fu vera gloria?” la domanda è retorica, perché l’unica gloria riconosciuta da Manzoni è quella dello spirito e se Napoleone è stato così grande è perché Dio ha voluto mettere in lui un segno della sua potenza creatrice. Quindi l’argomento centrale dell’ode non è Napoleone, ma il rapporto tra Dio e Napoleone. Quest’ode è la prova della grande gloria di Dio, l’unica alla quale ci si deve inchinare.
Strofe 7 - 8: Napoleone era  un uomo molto ambizioso ma per un giovane ufficiale come lui è improbabile diventare un imperatore, e quando raggiunse il potere provò  la gloria, che è maggiore dopo il pericolo
Strofa 9: “Ei si nomò”:  esistono due interpretazioni: secondo alcuni ci si riferisce all’auto proclamazione imperiale; secondo altri ci si riferisce al fatto che Napoleone fu artefice del proprio destino.
In ogni Napoleone è per sua volontà il fulcro della storia di due  secoli, il Settecento e l’Ottocento, la Rivoluzione e la Restaurazione.
Strofa 10:  la figura di Napoleone è considerata nell’ottica degli altri,  considerato o invidiato o amato sovrabbondanza di aggettivi e  sentimenti.
Strofa 11: la similitudine allude al  naufragio definitivo delle ambizioni napoleoniche. Sul naufrago si  ammassano le onde del mare come fanno i ricordi sull’uomo. L’originalità  sta nel fatto che il naufrago vede sia l’onda sopra di se, sia quella  che lo solleva.
Napoleone adesso è un’anima, un’ “alma”, è diventato un uomo qualunque,  spogliato dagli aggettivi imperiali, non viene più chiamato “ei”.
Strofa 12: qui Manzoni accoglie l’ipotesi che Napoleone su S. Elena avrebbe iniziato a scrivere una sua biografia, mai terminata.
Strofa 13: Napoleone è un uomo che ha ancora gli occhi fulminati ma non fa più nulla, non ha più nessuna prospettiva se non il ricordo.
Strofa 14: con l’anafora e il polisindeto della “e” arriva l’accumulo di ricordi, che pesano su Napoleone come l’onda sul naufrago.

Le quattro strofe finali: Quattro strofe finali sottolineano l’insegnamento religioso della vicenda di Napoleone: Manzoni sembra dirci che al suo tempo c’erano due potenze, ovvero Napoleone (= l’uomo del destino) e Dio, l’unica potenza superiore a Napoleone e che lo porta verso i campi eterni, verso la speranza.
Concetto giansenistico: non è l’uomo che si salva ma è la grandezza divina che interviene per la salvezza dell’uomo (“man dal cielo”).
Infine nell’ultima strofa ritorna il Dio giansenistico che incute timore, affanna i superbi, è potente e guerriero.
In conclusione Manzoni, nono stante Dio sia più potente, riconosce che sulla terra non c’è stata mai nessuna potenza più grande di Napoleone.
Manzoni vuole sottolineare:
- Il ruolo salvifico della Grazia divina, valida, forte, pietosa, l’unica in grado di infondere speranza in Napoleone;
- La funzione della Provvidenza: Dio vuole imprimere a Napoleone il segno più forte della sua potenza creatrice.
Allora Napoleone diventa una figura inscritta in un disegno divino.
La grandezza di Napoleone non è altro che l’arma della grandezza di Dio.


Temi principali: La gloria terrena torna due volte: al verso 31 potrebbe sembrare una domanda retorica, ma ai versi 95-96 c’è la risposta: di fronte alla potenza di Dio la gloria di Napoleone  è solo silenzio e tenebre. Questo ridimensionamento della gloria umana è costante in Manzoni, che tende sempre ad abbassare l’eroe, ne vede la limitatezza nella prospettiva dell’eternità, lo invita ad accettare umilmente il posto che la storia gli da;
- potere umano e divino: la potenza divina è rappresentata da un Dio biblico e guerriero, ma è anche un Dio consolatore, l’unico che si è posato vicino al solitario Napoleone morente;
- morte: a Manzoni non interessa Napoleone come condottiero, ma gli interessa interpretarne il messaggio della sua morte. La morte costituisce per Manzoni la verità poetica, mentre le imprese di Napoleone sono la verità storica e Manzoni non la può cambiare. Allora la morte diventa il vero motivo di ispirazione dell’ode. Manzoni può immaginare il dramma con la risoluzione in chiave religiosa. Proprio questa tema della morte riflette la costante attenzione di Manzoni al rapporto tra vero storico e invenzione.
Cinque maggio - Descrizione

Il 5 maggio viene scritto di getto tra il 18 e il 20 luglio del 1821  quando giunge la notizia della morte di Napoleone avvenuta il 5 maggio a Sant'Elena. Manzoni non si era mai espresso nei confronti di Napoleone, non lo aveva mai celebrato, né denigrato (altri a tristi invece lo avevano fatto perché Napoleone aveva suscitato interesse). Manzoni non aveva simpatia per Napoleone, non poteva condividere le sue scelte politiche perché Manzoni era un liberale cristiano, ma subì il fascino di questa straordinaria personalità. Quando venne annunciata la sua morte e soprattutto quando venne annunciata la probabile conversione di Napoleone prima della morte Manzoni sente il bisogno di riflettere e  scrive il 5 maggio. Fa un bilancio da Napoleone più umano e religioso  che politico. Quest'ode viene censurata ma si diffonde ugualmente come manoscritto. Viene tradotta da Goethe e pubblicata in Germania. Nel 23 verrà pubblicata anche in Italia, ottiene uno straordinario successo che stupisce anche Manzoni. Manzoni ne resta talmente stupido che arriva ad  affermare che questo componimento non merita un tale successo, ma il suo successo è dovuto al fatto che è stata censurata. In questo testo rivede i vari momenti della vita di Napoleone: quello di gloria, quello di successo, quello dell'esilio. Manzoni vede Napoleone sopraffatto dai ricordi del passato che gli provocano dolore. Questo dolore è sopportabile grazie alla fede. La morte per Napoleone diventa una morte liberatrice. Napoleone rifiuta il passato è ha speranza nella redenzione e nella salvezza. Il tema alla base di quest'ode è la dimostrazione che Napoleone non è altro che la testimonianza della  Misericordia di Dio. La vita di Napoleone sono in realtà la prova della  grandezza di Dio, che ha voluto lasciare in questo personaggio la sua impronta. Viene ridimensionata la figura di Napoleone. La figura di Napoleone diventa insignificante nei confronti dell'eterno. La riflessione su cui vuole condurre l'attenzione del lettore è il logico della gloria terrena, il ruolo delle azioni dei grandi personaggi storici e Manzoni si chiede se sia vera gloria quella di Napoleone, l'ardua sentenza viene lasciata ai posteri. Napoleone non è altro che la  dimostrazione della potenza di Dio.
Riprende alla terzultima strofa il concetto della gloria terrena. In  Foscolo c'è il culto dell'eroe. Anche in Manzoni ci sono gli eroi. Si tratta di un testo composto di 18 strofe di 6 settenari. Lo schema metrico è tale da rendere rapido il ritmo del testo e quindi anche facilmente assimilabile. I periodi si estendono su due strofe e sono ampi, non c'è coincidenza tra periodo strofico e sintattico. Il discorso  comunque risulta molto piano, il periodare è lineare e non faticoso. Prevale la paratassi anche all'interno dei singoli periodi. Troviamo spesso il verbo a fine frase, ci sono delle inversioni nell'ordine regolare degli elementi a fine frase è il lessico è un lessico molto vario, abbiamo dei termini arcaici, abbiamo dei latinismi. Ci sono tanti aggettivi che vengono utilizzati o come attributi predicativi.
La struttura è ripartita (prime 4 storie, 10 strofe centrali e ultima 4)
Nelle prime 4 viene annunciato il tema della morte di Napoleone.
È talmente grande Napoleone che non viene usato il soggetto, basta il pronome. Il pronome personale di terza persona ritorna più volte nella parte in cui Napoleone è al l'apice del successo, quando poi cade in disgrazia, quando perde potere ecco che il pronome personale non viene più usato. Ora che Napoleone è morto Manzoni si esprime mante dosi  immune dal l'elogio servile, adulatore e rendendosi lontano dalle parole violenti oltraggiose di scherno. Più avanti riparlerà delle imprese di Napoleone assumendo punti di vista diversi.
10 strofe centrali:
- 5 sono dedicate a Napoleone imperatore
Le imprese grandiose di Napoleone che agisce con grande rapidità. Questa strofa vuole sottolineare la rapidità d'azione.
- 5 sono dedicate a Napoleone esule. L'oda dei ricordi invade Napoleone. Per la terza volta vengono ricordate le imprese di Napoleone.
Ultime 4 strofe: Napoleone ottiene nel paradiso un premio che supera quelli ottenuti in terra.
Cinque maggio - Spiegazione

Manzoni scrisse l’ode il cinque maggio fra il 17 e il 20 luglio 1821, alla notizia della morte di Napoleone, avvenuta il 5 maggio nell’isola di Sant’Elena dove l’imperatore era da 6 anni in esilio. L’opera fu censurata dal governo austriaco e poté essere pubblicata solo in Francia e in Germania. In Italia fu pubblicata nel 1823, da un editore torinese e senza l’autorizzazione dell’autore.
Forma metrica: diciotto strofe, ciascuna composta da 6 versi, il primo e il secondo verso rimano fra loro; l’ultimo verso è tronco e rima con il corrispondente della strofa successiva.(A-B-C-B-D-E-F-G-H-G-I-E)

Nel grande condottiero, Manzoni ricerca l’uomo e il suo travaglio  interiore. L’ode tramuta la vicenda terrena in un disegno divino. la sfera religiosa è infatti centrale nel componimento. Da un lato Napoleone è visto come strumento del’imperscrutabile disegno divino, che lo ha scelto per cambiare la vecchia Europa, dalla’altro egli ha oltrepassato, spinto dalla superbia e dall’orgoglio il fine che Dio gli aveva assegnato e ha pagato i suoi errori con la sconfitta e con l’esilio. Dio è sempre presente nella storia: Bonaparte in punto di morte è rassegnato dalla presenza di Dio, che risveglia in lui la fede nella vita eterna. L’ode si chiude con un inno alla fede che trionfa sul dolore e sul male.
Qui il dolore è sentito come dolore permesso da Dio per purificare da  ogni colpa chi lo accetta, in vista di un premio di salvezza al di là della dimensione ultraterrena. Nei Promessi sposi la giustizia di Dio vive già nelle cose di questo mondo e non è solo giustizia finale, perché prospetta anche una felicità sulla terra per chi ha fede nella Provvidenza.

Manzoni non descrive Napoleone né quand’era in auge, né durante la sconfitta, né per glorificarlo, né per celebrarlo. Per questo sceglie di parlarne al momento della morte, momento della verità.
NEI PRIMI VERSI (1-12) Napoleone presenta la morte di Napoleone, notizia che suscita in Europa una forte commozione. Il tono è solenne e il linguaggio classicheggiante. Dopo aver esalato l’ultimo respiro, il corpo di Napoleone rimase immobile, senza più il ricordo della sua vicenda terrena e privato (orbo) di uno spirito così grande; allo stesso modo il mondo è rimasto sconvolto e attonito alla notizia della morte, pensando muto all’ultima ora dell’uomo fatale, l’umano è transeunte, il Divino è eterno. La vera gloria è solo quella divina. Tuttavia il corpo muore, ma l’anima vive. Per Napoleone con la morte inizia la vera vita, si rimane eterni in Dio. Napoleone rimarrà eterno grazie alla poesia. Ai versi 13-24 il poeta dichiara la sua autonomia  di intellettuale, non servile al momento della gloria di Napoleone, e non denigratore di fronte alle sventure. Ai versi (25-60) Manzoni presenta le fulminee imprese di Napoleone sul campo di battaglia.
Autori che hanno contribuito al presente documento: kli, blakman, MissVale91, yya, LauraMara, Lorep.     
Torna ai contenuti